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Full text of "L' educazione della volontà"

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PIERO MARTINETTI 



y 



L’EDUCAZIONE DELLA VOLONTÀ 


Estratto dalla “RIVISTA DI FILOSOFIA,, 
Nuova Serie, Voi. IV (XXXIV della collez.) - N. 1-2 - 1943 



MILANO 

Via Ciro Menotti, 20 
1943 




PIERO MARTINETTI 


t/M 14 & 

no°yu 

L’EDUCAZIO NE DELLA VOLONTÀ (,) 

INTRODUZIONE 


Importanza dell'educazione della volontà 

L’espressione c educazione della volontà » ha in sè qualche 
cosa di pleonastico: la sola e vera educazione dell’uomo è l’edu¬ 
cazione della volontà. È vero che i trattati ne parlano come di 
un aspetto singolo dell’educazione, parallelo alla cultura dell’in¬ 
telligenza, della memoria, del sentimento, ecc.: ma che cosa sono 
questi aspetti dell’educazione di fronte a quello che si propone 
di dirigere e fortificare la volontà? Anche supposto che essi 
fossero qualche cosa di più che un complesso di piccoli artifizii 
empirici e riuscissero veramente a trasformare nel loro intimo 
l’intelligenza e la memoria, quale sarebbe l’educazione esercitata 
da essi rispetto a quella parte dell’educazione che si propone 
di trasformare ciò che nell’uomo costituisce la natura più pro¬ 
fonda e sorregge ed anima tutte le altre attività? Basta che noi 
consideriamo questa differenza in noi stessi. Il perfezionamento 
della memoria, deH’intelligenza e del sentimento può avere eser¬ 
citato un’ influenza relativamente grande sulla nostra vita ; ma 
si tratta in fondo sempre di un’azione sugli strati più superficiali 
dell’essere nostrq: ciò che ha servito a mutare la direzione della 
nostra volontà, ha contribuito invece ad introdurre in noi un 
mutamento radicale di tutta la nostra vita, ed ha esercitato sulla 
felicità e sulla perfezione nostra un’influenza di gran lunga più 
durevole e profonda. 

(1) Nel fascicolo 2-3, 1942, della Rivista abbiamo pubblicato, sotto il ti¬ 
tolo « La volontà », il primo capitolo di questa notevole monografia del 
Prof. P. Martinetti « L’educazione della volontà ». Pubblichiamo ora postumi 
gli altri capitoli di quest’opera, i quali formano propriamente la parte dedi¬ 
cata all’educazione della volontà. 11 capitolo « La volontà », filosoficamente 
il più importante, costituiva il presupposto teoretico che giustifica e legittima 
le conclusioni cui giunge l’autore. Esso pertanto deve trovare il suo posto 
dopo l’introduzione e prima dei capitoli dedicati all’educazione della volontà, 
cioè tra pag. 12 e pag. 13 del presente fascicolo. 


(nota della direzione). 



— 2 — 


Se noi analizziamo la vita nostra e dei nostri simili, vediamo 
che non le doti fisiche, nè l’intelligenza, nè i doni della fortuna 
hanno l’influenza maggiore sul destino individuale; ma l’energia, 
la volontà, il dominio di sè, la costanza dello sforzo. Questo 
vale non solo per gli individui, ma anche per le nazioni: ciò 
che sostiene un popolo nella aspra lotta che deve continuamente 
combattere nelle varie forme di concorrenza vitale, non sono le 
qualità brillanti dello spirito, ma le doti solide della volontà, la 
resistenza al lusso ed alla corruzione, la vigilanza, la sobrietà, 
l’iniziativa, la tenacia al lavoro; doti umili e modeste, senza delle 
quali tuttavia le altre rimangono sterili. Tutti più o meno chiara¬ 
mente sentiamo che la forza di volontà è la misura del valore 
di un uomo e che l’esercizio di una vita attiva, diretta da una 
volontà energica è la sorgente più ricca e più sicura di serenità 
e di gioia. Quando ci volgiamo indietro a considerare i nostri 
anni passati, non possiamo reprimere un senso di tristezza al 
pensiero della vita che trasvola inesorabile verso la morte : se 
qualche cosa può consolarci è la coscienza di ciò che abbiamo 
operato e raggiunto: il tempo perduto nelle frivolezze quotidiane 
e non riempito da un’attività energica appare veramente qualche 
cosa di vano e di triste, un sogno che si perde nel nulla. Tutti 
ugualmente sentiamo che la causa di quasi tutti i nostri mali e 
dei nostri insuccessi è sempre una sola: la mollezza delia nostra 
volontà, la mancanza di energia. L’inerzia, la passività interiore 
è anche la sorgente di tutte le debolezze e di tutti i vizii : le 
passioni possono scatenarsi anche nell’uomo più padrone di sè, 
ma prendono piede e trionfano soltanto là dove manca l’energia 
di una volontà vigile e costante. 

Tutti riconoscono più o meno chiaramente queste verità; 
eppure quanto pochi sono quelli che si preoccupano di coltivare 
in se medesimi una dote così preziosa ed essenziale! Pare anzi 
che la maggior parte degli uomini si preoccupi di passar la vita 
col minimo necessario di attività e di sforzo : là dove non è 
spinta innanzi dalla necessità o dalla forza, essa preferisce ada¬ 
giarsi nella quiete delle abitudini tradizionali, piegarsi passiva¬ 
mente alle circostanze, subire anziché agire. E questa deficienza 
di una volontà energica e personale si traduce anche nei sistemi 
tradizionali di educazione: i quali si propongono in generale di 
coltivare nell’uomo le doti superficiali ed esteriori, di perfezio- 



— 3 — 


nare la sua cultura tecnica, di svolgere le sue capacità intellet¬ 
tuali ed estetiche, ma abbandonano quasi completamente a sè 
la sua natura più profonda, la sua volontà e le sue tendenze. 
A questo difetto è dovuta la scarsa influenza dell’ educazione 
moderna sulla vita : impotenza che tutti riconoscono e tutti la¬ 
mentano, e che non sarà possibile sanare senza una trasforma¬ 
zione radicale dei metodi educativi presenti. 

La stessa deficienza si osserva nei risultati ottenuti dall’edu¬ 
cazione popolare al nostro tempo. Con le scuole, con i libri, 
con tutti i mezzi possibili si è cercato di illuminare le moltitu¬ 
dini e di elevarne il livello intellettuale; che cosa si è ottenuto 
in fondo se non di accrescere l’inquietudine e i desideri e di 
dare nuovi alimenti e nuovi strumenti alla corruzione? La cultura 
esclusiva dell’ intelligenza non solo non ha servito a creare 
un’ umanità migliore, ma anzi ha esercitato sulla volontà e sulla 
vita, per quanto almeno appare, un’azione dissolvente, alla quale 
non si è saputo opporre alcun rimedio efficace. 

Da quest’ultima considerazione risulta non soltanto l’impor¬ 
tanza, ma anche la difficoltà estrema che presenta, di fronte alla 
cultura dell’intelligenza, l’educazione della volontà. Tale è anzi 
questa difficoltà, che qualche filosofo non ha esitato a sostenere 
che la volontà umana non può venir modificata e che il carat¬ 
tere è qualche cosa di fisso che rimane invariabile per tutta la 
vita. Ma è difficile restar fedele a questa affermazione parados¬ 
sale : tutte le attività conoscitive e così la scienza e la filosofia 
stessa noti mirano forse in fondo ad introdurre un mutamento 
nelle convinzioni e nella condotta dell’uomo? Il fatto stesso che 
noi pensiamo e meditiamo sulla volontà e sulla vita ci prova che 
la volontà può essere, fino ad un certo grado almeno, modificata 
e diretta. La possibilità di una direzione autonoma della volontà 
è il presupposto di ogni proposito educativo, anzi di ogni di¬ 
segno relativo alla condotta. Sarebbe insensato proporre a sè 
un indirizzo qualunque di vita se noi fossimo soltanto parte di 
un meccanismo — sia fisico, sia psichico — e il nostro senso 
di libertà un’illusione. Ma questo non implica naturalmente che 
noi abbiamo sopra di noi quel pieno arbitrio che alcuni filosofi 
sognano. Il dominio sopra noi stessi non è un dono innato, ma 
una conquista lunga e faticosa, frutto di pazienza e di perseve¬ 
ranza: la libertà è come una condizione ideale di cui portiamo 



— 4 — 


in noi soltanto il primo germe e che ogni uomo svolge poi in 
sè più o meno perfettamente. Essa è per gli individui come per 
i popoli la condizione prima di una vita nobile e bella: ma 
questa condizione è già essa medesima una ricompensa, il ri¬ 
sultato di sforzi lunghi e perseveranti. Nessuna meraviglia quindi 
se la maggior parte degli uomini trascorre la vita guidata dagli 
istinti e dai bisogni senza mai intraprendere con qualche serietà 
quest’opera così lunga e difficile della cultura della volontà e 
del carattere, e se la scuola attuale, adattata alle esigenze del¬ 
l’uomo comune, poco o nulla compie, in modo diretto e conscio, 
in questo senso e non riesce nemmeno, in generale, a dare al 
giovane un indirizzo per iniziare da sè più tardi quest’educazione. 

Neppure la letteratura filosofica ci dà su questo punto un 
grande aiuto. Un problema così grave e così importante per la 
vita umana non poteva naturalmente venir trascurato dai mora¬ 
listi: ma esso si confonde per essi col problema generale della 
direzione della vita. Così noi troviamo utili consigli per la cul¬ 
tura della volontà in Seneca e specialmente in Epitteto, i cui 
Discorsi si possono considerare come una guida alla difficile 
arte del dominio di se stessi. Molte norme eccellenti si potreb¬ 
bero ricavare anche dalla negletta letteratura ascetica cristiana: 
specialmente dagli scrittori Gesuiti del XVII secolo, che, pur te¬ 
nendo conto delle finalità loro particolari, hanno veramente scru¬ 
tato a fondo il cuore umano ed utilizzato con sagacia l’arte della 
direzione della vita (*). Nella letteratura recente, se si fa astra¬ 
zione dalle trattazioni psicologiche e pedagogiche ( 1 2 ), la questione 
non ha dato origine che ad un lavoro veramente elevato e no¬ 
tevole, quello del Payot (« L’education de la volonté», 1893). 
Sotto l’aspetto pratico essa ha dato occasione ad un’ampia let¬ 
teratura che, sfruttando una moda venuta dall’America, vorrebbe 
essere un insegnamento sistematico dell’energia ( 3 ). Queste opere 
non sono in generale che sistemazioni puerili di piccoli artifizi 
tecnici, mancano di ogni idea direttiva e non hanno, sopratutto 
sotto l’aspetto morale, che un valore molto discutibile. 


(1) Ricorderò soltanto I. E. Nierembero, De Arte voluntatis, 1631. 

(2) Ricordiamo fra queste: Ribot, Les ma/adies de la volonté, 1883; 
Benedetti, La pedagogia della volontà, 1899; Buisson, Education de la vo ¬ 
lonté, Rev. Ped. 1899. 

(3) V. per es. Marden, Der Triumph der Willenskraft ; Wille and Erfolge 
(trad. dall’inglese); W. Gebhardt, Wie werde ich energisch? 1900; K. Mohr, 
Mehr ÌVilleFEssay iiber Willens and Charakterbildnng, 1914; Kruse, Ich will! 
Eine Schule des Willens, 1918; M. Fassbender, Wollen, eine konigliche 
Kunst, 1918. 



I. 

L’educazione della volontà 


1) L'energia della volontà come perfezione formale della stessa 

Se la volontà è tanto più perfetta quanto più è complessa 
l’unità che essa introduce nell’attività nostra, sottraendola all’azione 
disordinata e mutevole degli impulsi e subordinandola ai valori 
generali e costanti della ragione, tanto meno però essa è sicura 
del suo risultato. Le tendenze impulsive sono in generale date, 
preesistenti : di più in esse l’azione segue rapidamente ed infal¬ 
libilmente l’impulso. 1 valori della ragione debbono invece essere 
appresi ed hanno per condizione lo svolgimento delle potenze 
intellettuali: l’azione della volontà che verso di essi è diretta, 
in ragione appunto della sua complessità, è sempre assai più 
instabile e malsicura. Possono gli impulsi, che erano stati mo¬ 
mentaneamente vinti, persistere nella coscienza e risorgere al 
momento opportuno, come un nemico non domato: possono le 
rappresentazioni, che sostengono la volontà, impallidire e perdere 
la loro efficacia : onde il caso abbastanza frequente di una de¬ 
cisione che rimane lettera morta, di una volontà che oscilla 
irresoluta o che passa dopo breve tempo ad una decisione 
contraria. 

Il fine principale della cultura della volontà deve quindi 
essere quello di ottenere una subordinazione stabile delle attività 
impulsive alle volontà razionali. Questa energia della volontà, 
per cui alla vita impulsiva viene imposta in modo stabile una 
direzione razionale, qualunque essa sia, può da noi essere chia¬ 
mata perfezione formale della volontà, in opposizione alla sua 
perfezione materiale, che dipende dal valore dell’indirizzo razio¬ 
nale dominante. L’una, come ben si comprende, è del tutto in¬ 
dipendente dall’altra: vi può essere una volontà egoistica ener¬ 
gica, ed una volontà morale, debole ed irresoluta. L’educazione 
morale si propone di perfezionare materialmente la volontà, ele¬ 
vandola verso la sua unità razionale perfetta; l’educazione della 



volontà, ricercando con quali mezzi può essere assicurato il do¬ 
minio dell’elemento razionale sull’impulsivo, mira al suo perfe¬ 
zionamento formale. Quest’ultimo non ha direttamente carattere 
morale, perchè non prescrive alla volontà quali debbono essere 
i suoi fini: ma in quanto rende possibile una disciplina stabile 
della volontà senza di cui non vi è vita morale possibile e costi¬ 
tuisce anch’esso lina parte essenziale, sebbene puramente formale, 
dell'educazione morale. 


2) 1 gradi di perfezione formale della volontà 

Sotto l’aspetto della sua perfezione formale la volontà umana 
ci presenta altrettanti gradi quanti sono i gradi della subordina¬ 
zione stabile degli impulsi sotto le volontà generali della ragione. 
L’estremo grado di impotenza è costituito dall’abulia che è de¬ 
bolezza organica della volontà in genere, così razionale come 
impulsiva. Essa è caratterizzata dalla debolezza effettiva degli 
stimoli, dalla debolezza dei sentimenti che accompagnano gli 
stati rappresentativi: « ciò che è colpito (nell’abulia) è la vita 
affettiva, la possibilità d’essere emozionati » ( J ). Ed infatti noi 
vediamo anche gli ammalati di abulia cronica ritrovare per un 
momento la loro energia d’ azione quando interviene un’ agita¬ 
zione violenta ed improvvisa che li commuove profondamente. 

Nella debolezza di volontà è colpita invece la potenza affet¬ 
tiva dei motivi razionali: l’individuo è sopraffatto dalla violenza 
degli impulsi inferiori. Se questi si svolgono secondo un indi¬ 
rizzo uniforme e relativamente costante, abbiamo il dominio della 
passione: se costituiscono una successione incoordinata e varia¬ 
bile,, abbiamo l’incoordinazione isterica, il regno del capriccio. 
L’indolenza, l’instabilità, l’incostanza del carattere ci presentano, 
in grado minore, lo stesso difetto di coordinazione, la stessa 
mancanza di uno stabile dominio degli affetti razionali. U Ribot 
si chiede se questa debolezza della volontà razionale sia un ef¬ 
fetto del predominio dell’attività impulsiva o sia un fatto origi¬ 
nario di cui l’altro è un effetto. A ragione egli conclude che 
ambo i casi possono verificarsi. « È fuor di dubbio che spesso 


(1) Ribot, O. c. p. 53. 



— 7 — 


l’impulso irresistibile è Yerigo mali; esso costituisce uno stato 
patologico permanente. Si produce allora nell’ordine psicologico 
un fenomeno analogo all’ipertrofia di un organo o alla prolife¬ 
razione esagerata di un tessuto in una parte del corpo, come 
per esempio quella che produce certe forme di cancro. Nell’uno 
e nell’altro caso, psichico e fisico, il disordine locale si riper¬ 
cuote sull’intero organismo (*). Ma spesso è l’attività volontaria 
che è per sè inattiva: l’esagerarsi della vita impulsiva ne è la 
conseguenza. Noi constatiamo questo caso per es. nell’ebbrezza 
alcoolica, il cui primo effetto è precisamente quello di indebo¬ 
lire la potenza di coordinazione mentale sotto tutti i suoi aspetti: 
allora come conseguenza le attività automatiche ed impulsive 
hanno libero campo. 

Il massimo grado di perfezione formale del volere (che è 
soltanto un ideale) è quello che ci presenta la perfetta subordi¬ 
nazione dei suoi elementi sotto una direzione unica: onde l’unità 
esteriore della vita, la stabilità della condotta, la potenza del¬ 
l’azione che è propria delle grandi volontà. Il principio attivo 
che le anima è una passione ardente, inestinguibile, sempre 
uguale, a cui tutto serve in esse e verso cui ogni loro attività 
converge. Tutti, più o meno oscuramente, aspirano verso questa 
unità perfetta deliavita: ma pochi riescono ad avere una chiara 
coscienza di ciò che è in fondo il loro fine supremo, e pochi 
riescono a orientare decisamente le loro volontà in questo senso. 
Il termine ideale di questa unità della vita è, come abbiamo ve¬ 
duto, la volontà morale, che, quando riesca a conquistare quel 
perfetto dominio in cui consiste la perfezione formale del valore, 
ci dà la più nobile, ma anche ben più intensa forma dell’energia 
umana. La vita più bella, più riempita, quella che deve lasciare 
anche nell’ultimo istante l’impressione consolante di non essere 
vissuti invano è la vita di quelli che hanno saputo dirigere tutte 
le loro energie come un grande ed unico sforzo verso un alto 
pensiero che è stato l’ideale della loro vita. 


(1) Ribot, O. e. p. 86-87. 



— 8 


3) Educazione formale ed educazione generica della volontà 

Il concetto di un’educazione formale della volontà, che si 
propone di creare una perfetta subordinazione delle attività inte¬ 
riori a principii razionali dati, non deve essere confuso col con¬ 
cetto dell’educazione generica della volontà che crede di aver 
dinanzi a sè la volontà come una facoltà astratta da esercitare 
e che, poiché è stata coltivata sotto un certo rispetto o in un 
altro campo, deve valere sotto ogni altro rispetto ed in ogni 
altro campo. Non vi è una volontà in astratto, una facoltà del 
volere, come non vi è una facoltà della memoria, ma vi sono 
tante forme speciali e concrete di memoria, ciascuna delle quali 
può sussistere a parte dalle altre ed esigere nell’educazione di 
essere coltivata a parte. Così vi sono in noi volontà concrete 
e complessive di volontà concrete, che non cessano di essere 
tali anche quando sono considerate ed esercitate sotto il solo 
aspetto della stabilità della loro coordinazione (cioè della perfe¬ 
zione formale) : e l’educazione generale della volontà deve essere 
l’educazione di tutte le nostre attività volitive, non un esercizio 
parziale che si illuda di poter trasportare in tutti i campi i 
risultati ottenuti in un’ applicazione parziale e limitata della 
volontà. 

Il P. Lindworsky nel suo libro sulla « Scuola della vo¬ 
lontà » (•) che è fondamentalmente errato nel suo tentativo di 
ristabilire su basi sperimentali il concetto della volontà come 
facoltà specifica, ma è ricco di tante fini osservazioni, si pro¬ 
pone la domanda se sia possibile un’ educazione generica della 
facoltà di volere, ma vi risponde anch’egli negativamente. Vi sono 
uomini, egli osserva, capaci per una volta o in un dato campo, 
di risoluzioni energiche e deboli in tutto il resto: vi sono tra i 
monaci dei grandi silenziosi incapaci dei grandi digiuni e dei 
grandi digiunatori incapaci del silenzio. La stessa osservazione 
psicologica mostra che l’educazione della volontà in una sfera 
particolare non implica punto la formazione di una volontà ener¬ 
gica sotto tutti gli aspetti. 


(1) Lindworsky (S. J.) Willen»schule, 1922. 



— 9 — 


Ciò sembra essere in contraddizione con l’esperienza che 
ci offre per altra parte anche uomini che sono energici in tutte 
le forme della loro attività, ed un poco anche col compito, del 
quale abbiamo sempre finora sostenuto la possibilità, che è l’edu¬ 
cazione della volontà in genere, non di questa o di quella vo¬ 
lontà. Ma la contraddizione è facilmente risolubile. Se la forza 
della volontà non è che l’energia d’un contenuto della coscienza, 
d’un complesso di valori o di fini, ben si comprende come sia 
possibile un’ energia parziale di volontà : e altresì come, dati 
certi valori e certi fini che hanno il potere di subordinare a sè 
tutte le forme e le attività della vita, debba l’energia impulsiva 
che ad essi è propria, parteciparsi a tutti i fini ed a tutti i va¬ 
lori subordinati. Un’educazione che ponga dinanzi alle finalità 
supreme e sappia svolgere tutta l’energia di cui sono capaci, è 
un’ educazione che si estende a tutte le sfere della vita e può 
considerarsi come un’ educazione generale della volontà. Del 
resto la stessa naturale energia della volontà — che può essere 
in parte anche dono ereditato — è inseparabile da una specie 
di naturale sua unità, anche se questa sia accentrata intorno al¬ 
l’egoistico apprezzamento del proprio io. 


11 . 

Le condizioni fisiche 


1) L'organismo oome sorgente delle tendenze impulsive 

Come per la conoscenza, così per 1’ azione sembra esserci 
nell’uomo una duplice sorgente di energia: da una parte l’energia 
elementare e primitiva che sembra avere le sue origini nelle 
profondità della vita organica e si traduce nella violenza, spesso 
incomposta e ribelle, degli istinti, degli impulsi, delle attività 
sensibili; dall’altra l’energia formale e dominatrice della ragione 
che sembra avere per compito la direzione, la purificazione e 
l’elevazione dell’energia elementare del senso. Così Kant, ana¬ 
lizzando la conoscenza, trovò che essa risulta dal concorso di 
due elementi: da una parte la sensazione, il materiale del cono- 



10 — 


scere che ci è dalo e sembra dovere i’origine sua ad energie 
a noi straniere ; dall’ altra la potenza elaboratrice della ragione 
che noi identifichiamo con l’attività stessa de! nostro spirito. 
La disposizione dei due elementi è irriducibile; la ragione per 
sè sola, senza il materiale offertole dai sensi, sarebbe una forma 
vuota di contenuto ; i dati dei sensi non sono per sè che un 
rozzo materiale e nessun empirismo è mai riuscito a ricavare 
dalla combinazione meccanica delle sensazioni l’attività forma¬ 
trice e vivente della ragione. Analogamente le tendenze impul¬ 
sive e la ragione sono i due elementi irriducibili dell’agire u- 
mano. L’attività degli impulsi è come il materiale che la ragione 
deve raffrenare ed ordinare: senza la presenza d’un principio 
razionale, essa non potrebbe mai costituire una vita avente ca¬ 
rattere umano. Tutte le filosofie che hanno veramente cercato di 
derivare dall’egoismo organico le tendenze morali e la vita su¬ 
periore delPuomo, hanno col loro insuccesso dimostrato chiara¬ 
mente che la volontà dell’uomo non è soltanto un meccanismo 
di impulsi e di. appetiti sensibili. Dall’altro lato che cosa sarebbe 
la ragione senza la vita? Tutto lo svolgimento della nostra vo¬ 
lontà, anche nelle sue forme più alte, ha le radici sue nelle ma¬ 
nifestazioni più elementari della vita animale. 

La connessione del vigore dei nostri impulsi con le condi¬ 
zioni organiche è una esperienza ben nota. Nei casi estremi di 
abulia i sintomi fisici concomitanti sono il rallentamento della 
circolazione, l’abbassamento delia temperatura, la sospensione 
dell’attività muscolare; la depressione della volontà coincide con 
la depressione del tono vitale generale. Ora la massima parte 
dell’attività razionale dell’uomo deriva la sua energia dagli im¬ 
pulsi organici originarii: quanta parte di essa non è, direttamente 
o indirettamente, uno strumento degli impulsi fondamentali della 
fame e del bisogno sessuale! Ed anche quando non hanno fun¬ 
zione direttiva, i sentimenti ed impulsi organici confluiscono 
spesso nella vita sentimentale superiore e nelle volontà che vi 
si connettono : il sentimento sessuale, i sentimenti che nascono 
dallo stato della circolazione e del ricambio e in genere i sen¬ 
timenti organici, come stati emozionali diffusi, hanno una parte 
più importante di quello che a primo aspetto sembri nella costi¬ 
tuzione dei sentimenti e delle volontà superiori. De! resto la 
stessa potenza motrice delle idee ha la sua origine prima nella 



— 11 


vita impulsiva. Kant si era proposto un problema insolubile 
quando si era chiesto come possa l’idea pura della legge muo¬ 
vere la volontà. La pura legge morale, in quanto è ed agisce 
in noi, è già una volontà e cioè una tendenza sentimentale del¬ 
l’ordine più elevato. Ora donde traggono queste tendenze sen¬ 
timentali supreme la loro potenza? Se la potenza impulsiva non 
è che l’aspetto attivo del contenuto rappresentativo, ciò vuol 
dire che la potenza impulsiva deriva di là donde viene ad 
esse il contenuto: cioè dal senso. Senza dubbio questo non 
vuol dire che gli impulsi contengano già in sè la volontà supe¬ 
riore: ma chi credesse di poter costruire queste volontà astraendo 
completamente dalla forza degli impulsi, sarebbe come chi vo¬ 
lesse costruire le forme più alte del sapere astraendo compieta- 
mente da ogni dato sensibile. 

2) L’educazione fisica come fondamento dell'educazione della 

volontà 

La cultura pratica della volontà deve quindi tener conto di 
questo duplice elemento. La perfezione della volontà esige in 
primo luogo che la nostra vita impulsiva si svolga in modo 
normale: la nostra vita animale non è tutta la nostra vita, ma è 
il fondamento indispensabile sul quale si devono svolgere anche 
le nostre attività superiori. Quindi la cultura della volontà è 
anche in primo luogo cultura della vita impulsiva, difesa e pro¬ 
tezione della vita organica in cui la vita degli impulsi ha le sue 
radici. Quasi sempre l’energia morale coincide con lo stato di 
benessere e di vigore fisico: quando l’organismo fisico è debole 
od esaurito, anche la volontà ne sente il peso e si accascia in 
un senso penoso di fatica e di disgusto. I soli limiti che si im¬ 
pongono a questa cura del nostro essere fisico sono quelli me¬ 
desimi che impone la ragione alla vita impulsiva; la cura della 
vita fisica non deve riuscire a pregiudizio dei fini spirituali e 
delle attività superiori. Da questo punto di vista per es. l’ap¬ 
prezzamento eccessivo degli sports, e degli esercizi atletici, come 
si ha nelle scuole inglesi, può riuscire utile a creare una gio¬ 
ventù vigorosa, ma favorisce anche la brutalità e la decadenza 
mentale; il che non può essere utile, in ultimo, nemmeno alla 
stessa vitalità della razza. La vera superiorità umana non è nel 



— 12 


peso dei muscoli : ciò che ha conferito al trtonfo delle grandi 
nazioni non sono stati gli esercizi atletici, ma la rigidezza mo¬ 
rale, la fierezza, l’energia della volontà. È quindi una stoltezza 
di spiriti superficiali la mania di fare dei giovani altrettanti atleti, 
mettendo in prima linea il culto degli esercizi sportivi, con pre¬ 
giudizio della cultura intellettuale, della finezza dello spirito; 
essa avrebbe per unico risultato di farci retrocedere rapidamente 
verso l’animalità. Il fine a cui deve attendere la cura del nostro 
organismo è quello di renderlo sano e robusto in modo che 
esso fornisca alla volontà quella riserva di energia che è neces¬ 
saria perchè i suoi sforzi possano essere intensi e durevoli. 

3) Il catechismo igienico 

A questo fine ciascuno deve fare a se stesso, tenuto conto 
della sua complessione, delle sue occupazioni e delle sue esi¬ 
genze, una specie di breve catechismo igienico, riassumendo 
le norme essenziali relative al nutrimento, al riposo, all’esercizio 
ed insistendo con particolar cura su quelle contro le quali sap¬ 
piamo di essere soliti peccare. I precetti relativi alla nutrizione 
varieranno naturalmente in corrispondenza delle esigenze indi¬ 
viduali ; essi debbono tener conto delle cattive abitudini che fa¬ 
cilmente si contraggono e che hanno per risultato di rendere 
più gravi e difficili i processi deH’assimilazione organica. Quanto 
al ripòso è difficile stabilire regole fisse : la sola norma valida 
per tutti è che non bisogna prolungare al di là del necessario 
il tempo consacrato al sonno: l’esperienza poi facilmente in¬ 
segna che la buona abitudine di coricarsi per tempo e di alzarsi 
di buon mattino è salutare non soltanto igienicamente ma anche 
dal punto di vista del maggior rendimento del lavoro. Così pure 
per la ricreazione e le distrazioni, che hanno un’alta importanza 
igienica e morale, in quanto non solo ricreano le energie del¬ 
l’organismo, ma rendono il lavoro stesso più proficuo, bisogna 
stabilire a sè delle regole fisse. Le distrazioni più utili e più 
sane, come per esempio le escursioni nei giorni di vacanza, esi¬ 
gono pur esse un lieve sforzo: e spesso noi vi rinunciamo, non 
perchè non ne abbiamo la possibilità, ma per pigrizia. Bisogna 
anche qui stabilirsi un programma ed eseguirlo con scrupolosa fe¬ 
deltà. La stessa cosa deve dirsi dell’esercizio fisico, che è indispen- 



- 13 - 


sabile specialmente al lavoratore intellettuale per il miglior fun¬ 
zionamento dei ricambi organici. Solo bisogna ricordare a questo 
riguardo quanto si è sopra già accennato; che gli esercizi fisici 
hanno per fine di favorire il funzionamento degli organi, di re¬ 
golarizzare la circolazione, di prevenirci contro le variazioni 
della temperatura ; in breve di rinvigorire e temprare il nostro 
organismo, non di fare di noi degli atleti. Gli esercizii violenti 
ed eccessivi non solo sono igienicamente poco consigliabili, ma 
esauriscono anche, oltre che il tempo, la nostra energia, ostaco¬ 
lano i lavori dell’intelligenza e creano dei bruti violenti, non 
delle volontà umane alte e forti. 

4) La prima legge 

Per tradurre più facilmente in pratica il proprio codice igie¬ 
nico, sarà necessario procedere rispetto ad esso come rispetto a 
tutte le altre norme pratiche e cercare di tradurlo in un sistema 
di abitudini. Occorrerà quindi anzitutto procurare di semplificarlo 
al massimo grado e di ridurlo ad un piccolo numero di precetti 
fondamentali semplici e precisi, allo scopo di non ingombrare 
il proprio tempo con una quantità di preoccupazioni che assor¬ 
birebbero tutta la nostra attenzione e finirebbero poi per non 
essere osservate. Ridotte così al minimo numero le leggi della 
condotta igienica, bisogna continuare per un certo tempo nella 
pratica regolare di esse : fino a tanto cioè che la forza dell’abi¬ 
tudine ce le abbia rese famigliari e quasi necessarie. Possiamo 
quindi formulare così la prima legge dell’educazione della vo¬ 
lontà: Abbi in primo luogo cura di mantenere, il corpo sano e 
vigoroso: prescrivi a te stesso un piccolo numero di norme igie¬ 
niche semplici ed essenziali ed astringiti a seguirle regolarmente 
ogni giorno, finche siano diventate in te altrettante abitudini ». 



— 14 


III. 

Le origini della volontà razionale 


1) Velie non discitur 

La cura del proprio organismo e delle energie di cui questo 
è la sorgente non è che un’introduzione alla cultura della vo¬ 
lontà, dell’energia razionale che ha per compito di sottomettere 
a leggi la vita disordinata degli impulsi. Ora come è possibile 
creare in noi stessi questa energia? 

Il primo punto da stabilire è questo : che la volontà nella 
sua forma perfetta, come noi la incontriamo nelle decisioni ener¬ 
giche, nella condotta perseverante, non è qualche cosa di diretta- 
mente acquisibile: vero è sotto questo rispetto l’antico aforisma: 
« Velie non discitur » (il volere non s’impara). Il pretendere di 
instillare in un organismo misero, in una personalità instabile, 
una volontà energica, è volere un miracolo. Tanto sarebbe quanto 
il pretendere di risanare immediatamente un ammalato, di con¬ 
vertire sull’attimo una costituzione debole ed infermiccia in una 
complessione di ferro. Bisogna a questo riguardo riconoscere 
in primo luogo che, rispetto alla volontà, gli uomini sono, come 
per la salute, diversamente favoriti dalla nascita e dalla fortuna. 
Vi sono degli individui naturalmente energici, nature volitive, 
dominatrici; vi sono nature molli, apatiche, destinate a servire; 
e la maggior parte degli uomini, come in tutte le cose, presenta 
una gradazione indefinita di stati intermedii che possono, in 
certe condizioni ed in certi momenti, accostarsi all’uno od al¬ 
l’altro estremo. Bisogna riconoscere in secondo luogo che noi 
non siamo con tutto questo abbandonati totalmente, quanto alla 
forza della volontà, all’arbitrio della fortuna: è certo in poter 
nostro di modificare lentamente la nostra natura, di migliorarla, 
di raggiungere talora con cure pazienti e metodiche risultati 
insperati. Ma è vano sperare anche qui, come in tutto il resto, 
modificazioni improvvise, conversioni miracolose; tutto ciò che 
è possibile è di vincere, per mezzo di sforzi perseveranti abil- 



— 15 — 


mente diretti, molte nostre debolezze e fare di noi, se non un 
eroe, un uomo di carattere. Questo è il solo fine ragionevole 
che possa proporsi un serio metodo di cultura della volontà. 

2) I metodi di creazione dell'energia 

Da ciò si può intendere quale efficacia possano avere tutti 
quei metodi che pretendono di compiere l’opera mirabile di 
creare dal nulla una forza di volontà che non esiste: essi sono 
in fondo così attendibili come le panacee miracolose delle quarte 
pagine che dispensano infallibilmente a tutti la salute. Così 
per es. le manifestazioni energiche del gesto, del viso e della 
voce, con cui si consiglia d’accompagnare ogni nostra decisione 
interiore : il portamento energico e lo sguardo fisso e tutti gli 
altri consimili mezzucci consigliati dai manuali di energia. Tutti 
questi consigli hanno il gran torto di mettere in prima linea dei 
particolari secondarii ed irrilevanti, trascurando l’essenziale. Essi 
predispongono l’organismo all’attitudine che solitamente ac¬ 
compagna la volontà energica : e sembrano così fortificare la 
decisione del momento. Ma con ciò non si crea nulla di pro¬ 
fondo e di stabile nello spirito. Come un’impressione momen¬ 
tanea, l’effetto loro sparisceTistante appresso, accrescendo nel 
soggetto la convinzione della sua impotenza. 

Lo stesso deve dirsi anche dello sforzo di avvalorare con 
un atto d’energia interiore le nostre decisioni: ciò che, se il 
rispettivo contenuto non si afferma esso stesso con energia e 
con costanza, è un’affermazione illusoria. « Per l’esecuzione di 
un proposito — così il Lindwòrsky riassume il risultato di alcuni 
suoi esperimenti — non ha nessuna o ben poca importanza che 
questo proposito venga fatto con intensità, con energia. Per 
contro è della più alta importanza, che questo proposito si trovi 
nella coscienza all’ora che deve essere eseguito: quando questo 
venga assicurato, ne è assicurata anche l’esecuzione >. 

Da ciò può misurarsi anche il valore della autosuggestione. 
Anche nell’educazione infantile il valore della suggestione è stato 
esagerato. La suggestione ha per effetto l’imposizione autorita- 
tiva di una convinzione, d’una direzione, che il suggestionato 
accetta senza critica. Ora che questa via possa essere da prin¬ 
cipio necessaria, può esser vero: ma solo per introdurre e ren- 



— 16 


dere possibile la vera educazione, che è la creazione di una 
personalità autonoma. Essa presuppone nel suggestionato una 
specie di incapacità, di passività, che nell’adulto, ha carattere 
patologico. Quindi non bisogna illudersi di poter creare nulla 
di durevole e di sano con la suggestione. Ora l’autosuggestione, 
tanto celebrata, sarebbe già per sè poco raccomandabile, perchè 
vuol essere una subordinazione irrazionale ad un impulso, ad 
una norma che accettiamo d’autorità, che s’impone a noi come 
s’imporrebbe una suggestione esterna. Ma di più essa sarebbe, 
come creazione d’energia, un vero miracolo. Nella suggestione 
l’energia che viene innestata in noi ci perviene da una volontà 
esteriore: ma nell’autosuggestione quale è la sorgente? Ciò che 
si dice autosuggestione non è una derivazione di volontà dal 
nostro interno, bensì l’abbandono passivo di noi stessi ad un’im¬ 
pressione o ad un’ idea preesistente : ciò che avviene per una 
specie di restringimento della coscienza, di esclusione delle altre 
impressioni, idee e tendenze. Ciò che di efficace può avere in 
questi casi l’autosuggestione le viene quindi dall’energia preesi¬ 
stente dell’impressione o dell’idea: tutte le pratiche con cui si 
crede di potenziare in noi questa energia non sono che buffonate 
ridicole ed inutili. 

Un certo valore possiedono invece gli esercizii della volontà, 
per esempio l’esecuzione sistematica e regolare, per un certo 
tempo, di lavori penosi, l’esercitarsi a dominare certi impulsi, 
a sopportare privazioni ecc. ; ma anche tutte queste cose hanno 
sempre soltanto una funzione secondaria e non raggiungono af¬ 
fatto il fine per cui sono proposte. Senza dubbio esse possono 
giovare in certi casi a dare a sè la fiducia nella propria capa¬ 
cità di volere, a perfezionare certi lati del carattere, a far acqui¬ 
stare abitudini preziose: ma non bisogna illudersi che esse val¬ 
gano a creare una volontà genericamente energica. Se manca 
la struttura razionale interiore, se la riflessione non ha creato 
in noi una coscienza stabile di valori che domini tutta la volontà 
tutto questo apparato esteriore non ha alcuna seria efficacia. 
Perchè esso abbia effettivamente un certo valore è necessario 
che esercizii si ricolleghino come conseguenze particolari ad 
una volontà fondamentale interiore, che essi hanno solo il compito 
di perfezionare e di estendere e da cui traggono in fondo l’e¬ 
nergia di cui essi hanno essi stessi bisogno. 



— 17 — 


3) Che cos' è la volontà allo stato nascente 

Come si forma dunque nell’uomo la potenza della volontà? 
Noi non dobbiamo per questo metterci in presenza della volontà, 
già perfetta e formata, di cui vediamo soltanto gli effetti, ma 
della volontà nel suo nascere, nelle sue modificazioni progres¬ 
sive e ricercare donde esse abbiano origine. Le condizioni ma¬ 
teriali della volontà stanno, come si è veduto, nelle energie im¬ 
pulsive, che hanno sede ed origine nell’organismo: noi dobbiamo 
coltivare e promuovere queste energie elementari. Ma la volontà 
che le domina non deriva da esse : la potenza della ragione 
non è nè combinazione nè trasformazione di impulsi. Come 
sorge essa nell’uomo? 

4) La teoria del Payot 

Noi ci troviamo qui in presenza di due teorie opposte, delle 
quali l’una cerca di derivare l’energia delle qualità morali dai 
sentimenti inferiori, l’altra dalla conoscenza. Il Payot nel suo 
aureo libro dell’ educazione della volontà si pronuncia decisa¬ 
mente in favore della prima: che egli, in quanto distingue radi¬ 
calmente la volontà dal sentimento, e col nome di sentimento 
designa in particolar modo i sentimenti personali ed inferiori, 
esprime col dire che la volontà deve essere diretta e fortificata 
facendo ricorso al sentimento. Le idee, egli dice, non hanno 
sopra di noi alcun potere; ciò che l’idea ha di potenza esecu¬ 
tiva le viene dalla sua alleanza con i sentimenti. L’intelligenza, 
si dice, quando si trova a lottare sola, senza soccorso straniero, 
contro la potenza delle passioni, è condannata alla sconfitta. 
Quanti, per es., sanno le conseguenze alle quali conducono 
l’alcoolismo, l’imprevidenza e le altre debolezze ! E tuttavia alla 
prima tentazione tutta questa saggezza si dissipa per ritornare 
più tardi, nel momento degli inutili rimpianti. Le idee possono 
avere un’efficacia sulla volontà solo quando sono in connessione 
strettissima coi sentimenti: la loro energia è un’energia tolta ad 
imprestito e fondata sulla loro associazione coi sentimenti. La 
conoscenza quindi per sè sola non può muovere la volontà : 
essa può agire su di essa solo quando venga associata con un 



18 — 


sentimento intenso che mette al suo servizio ia sua energia mo¬ 
trice. In questo modo sarebbe perciò possibile l’educazione della 
volontà : per mezzo dello stabilimento di relazioni adatte fra le 
nostre idee e determinati sentimenti. Se io riesco, per esempio, 
ad associare all’idea del mio lavoro, per sè penoso, delle emo¬ 
zioni piacevoli (il pregustamento del successo, il compiacimento 
dell’opera compiuta) io potrò dirigere per mezzo di esse la mia 
volontà, rendendola assidua al lavoro. L’educazione, sia altrui, 
sia propria, è l’arte di utilizzare i sentimenti naturali più ener¬ 
gici (l’amor proprio, la paura ecc.) associandoli indissolubil¬ 
mente con determinate idee, e valendosi della loro potenza sulla 
volontà per stabilire delle abitudini utili che persistono poi anche 
quando il sentimento corrispondente è scomparso. Allo stesso 
modo è possibile collegare con determinate idee stati affettivi 
che vi mettono ostacolo : come quando, per esempio, ci arre¬ 
stiamo a considerare criticamente l’oggetto d’una nostra passione, 
richiamando quelle associazioni con sentimenti sfavorevoli che 
finiscono per trasferire la nostra avversione all’oggetto stesso. 

5) Confutazione 

Anche eliminando da questa teoria ciò che può esservi di 
psicologicamente errato in riguardo al rapporto fra volontà e 
sentimento, io non credo che essa sia sostenibile: in fondo essa 
si riduce all’arte di fortificare i sentimenti superiori associandoli 
ad altri sentimenti energicamente impulsivi, anche se meno no¬ 
bili e disinteressati. Ora può talvolta essere utile, per intensifi¬ 
care il valore di un motivo, collegarlo con altri motivi più ener¬ 
gici di natura egoistica; i premii e le pene nell’educazione sono 
fondati appunto su questo principio. Per esempio, io posso colle¬ 
gare un’azione che per sè mi è penosa o pericolosa col sentimento 
dell’onore che me ne può venire: posso decidermi a scrivere 
un libro pensando al lucro che posso ricavarne. Tuttavia questo 
rafforzamento dei motivi, se può essere in molti casi necessario 
per introdurre nuovi motivi, per aprire la coscienza al senso di 
nuovi valori, non può avere che un valore provvisorio. Fortifi¬ 
care i sentimenti ideali con motivi di carattere inferiore è in fondo 
un legare la sorte dei primi a quella degli ultimi e così un in¬ 
debolire stabilmente quei valori stessi che si tratta di fondare. 



— 19 — 


Bisogna qui operare come nell’insegnamento della verità, dove 
può essere necessario, per introdurre un punto di vista superiore, 
riattaccarsi al punto di vista volgare e così introdurre nell’opera 
propria una contraddizione; ma l’affermazione provvisoria deve 
più tardi essere tolta, come si fa per i ponti che si tolgono 
quando la casa è stata costruita. Inoltre, pur ritenendo giustificata 
questa azione dei sentimenti sulla volontà, possiamo realmente 
suscitare e dirigere in noi il sentimento ? E per ultimo quella 
tendenza che si propone di associare le idee coi sentimenti per 
dirigere nel senso preferito la volontà, donde viene ? Perchè 
questa è veramente l’energia volitiva superiore di cui cerchiamo 
l’origine per impadronircene. 11 sentimento sarebbe in ogni caso 
soltanto un alleato; ma l’origine prima di quella volontà che uti¬ 
lizza il sentimento stesso non è nel sentimento. Dove dobbiamo 
dunque cercarla? 

6) La teoria che cerca l'origine della volontà nel pensiero 

Chi segua attentamente le argomentazioni dell’autore da noi 
esaminato vedrà che in fondo questa attività direttiva spetta, anche 
secondo lui, all’intelligenza. « Non è questo il compito che spetta 
all’intelligenza, di orientare ed operare la fusione dei sentimenti 
elementari anarchici, dando loro un’espressione netta? Perchè 
ogni stato affettivo, ogni desiderio, rimane per sè estremamente 
vago, cieco, quindi impotente » (pag. 76). In breve, se noi ana¬ 
lizziamo il nostro interno per vedere quale origine ha in noi la 
volontà, per vedere che cosa vi è in noi di veramente nostro 
che può inserirsi nella concatenazione dei sentimenti e delle vo¬ 
lontà per introdurvi un nuovo orientamento, per creare un pro¬ 
gresso, noi dobbiamo riconoscere che ciò che è veramente nostro, 
in nostra balia, è il pensiero, l’intelligenza. Di fronte alle pas¬ 
sioni, alle abitudini, alle tendenze tenaci, il puro e freddo cono¬ 
scere sembra impotente : e certo sarebbe stoltezza pretendere 
che le nostre conoscenze dirigano a piacer loro le attività inte¬ 
riori. Volontà, passioni, abitudini sono energie che seguono in 
noi il loro corso e contro cui direttamente nulla possiamo: se 
non vi fosse in noi altro, noi saremmo veramente abbandonati 
al meccanismo delle nostre tendenze. Ma in ogni momento noi 
possiamo estendere la nostra conoscenza, approfondire la rifles- 



20 - 


sione, abbracciare la vita e la realtà in uno sguardo per meglio 
comprenderle : questo è in nostro potere. Ora da queste nuove 
conoscenze scaturiscono in noi nuove energie, nuovi sentimenti, 
che da principio segnano un timido orientamento iniziale, ma 
che più tardi, ripetute e fissate dalla coscienza, possono diven¬ 
tare energici movimenti, tali da contrastare le passioni più ar¬ 
denti, le volontà più risolute. Certo la loro esplicazione sfugge 
allora al nostro arbitrio: sono volontà che agiscono allora in noi 
anche contro il nostro volere. Ma l’origine loro è stata opera 
nostra: ed è in poter nostro il suscitare con la riflessione nuovi 
movimenti iniziali della volontà, destinati a promuoverle od a 
combatterle. Come dalle esperienze e dalle conoscenze nascono 
quei movimenti dell’ animo che diciamo sentimenti e volontà ? 
Questo non sappiamo nè abbiamo bisogno di saperlo. Certo che 
ogni idea è anche una forza o almeno tende a diventare in noi 
una forza. Essa sfugge allora, come forza, al nostro arbitrio: ma 
come idea è una creazione nostra ed è in poter nostro: e questo 
è il punto in cui può inserirsi la nosra azione per trasformare 
e dirigere il mondo delle nostre volontà. 

7) Riflessione e libertà 

Ma è realmente — alcuno potrebbe qui obbiettare — la ri¬ 
flessione in nostro potere ? Perchè la direzione dei nostri pen¬ 
sieri non differisce dalla direzione dei movimenti esterni : se 
non ci è possibile creare in noi l’energia di agire in questo o 
quel senso, come ci è possibile creare l’energia di volgere l’at¬ 
tenzione verso questo o quell’ordine di pensieri? Supporre che 
quando sono presenti alla nostra coscienza due o più contenuti, 
noi possiamo a piacer nostro volgere la nostra attenzione verso 
l’uno o l’altro, che è se non rinnovare l’assurdo concetto del 
libero arbitrio, che in presenza di più beni può volgersi verso 
l’uno o verso l’altro? L’attenzione, le associazioni, le unificazioni 
logiche non sono in balia dello spirito : esse obbediscono alle 
sue leggi immutabili. Come è dunque possibile la libertà della 
riflessione ? 

Le leggi dello spirito non sono leggi meccaniche d’una 
molteplicità atomica, ma sono leggi viventi di un’ unità che 
si svolge, e questa unità è essa medesima in ogni istante la 



21 — 


forma vera e più alta della legge. Essa è nel tempo medesimo 
il nostro io più profondo e libero; nel suo attuarsi si attua la 
nostra libertà. Perciò la nostra riflessione è atto libero in quanto 
è rivolta all’unità, in quanto è attuazione dell’unità che è anche 
la legge ; il che non toglie che ogni atto suo debba obbedire 
a questa legge che per essa si attua. Il vero punto libero del 
nostro spirito è perciò quello in cui esso si svolge verso l’unità, 
in quanto è creazione di una visione complessiva, in cui la sua 
unità si incarni; ed ogni pensiero particolare in tanto partecipa 
della libertà in quanto è esso stesso espressione e strumento di 
questa creazione. 

Non ci è qui necessario del resto entrare più addentro nella 
difficile questione della libertà. A noi basta avere messo in chiaro 
che nella riflessione integrale sta la possibilità della nostra li¬ 
bertà e della libera direzione della volontà, e che, per quanto in 
ogni suo processo il nostro spirito non si sottragga alla rego¬ 
larità delle leggi psicologiche, esso può egualmente tracciare 
a sè una direzione verso l’alto che è libera creazione. 

8) La potenza delle idee 

Ecco quindi che cosa è ia ragione pratica, la volontà che 
tende a dominare i nostri impulsi ed a guidarci sulla via d’una 
vita veramente umana. Essa è la potenza dell’intelligenza, l’energia 
che scaturisce dalla ragione, dalle idee, che la tradizione e la 
cultura ci hanno trasmesso e che il nostro pensiero personale 
elabora ed approfondisce. La virtù è veramente, secondo il pro¬ 
fondo concetto socratico e platonico, sapere. Oià abbiamo detto 
però in quale senso si deve intendere questa potenza delle idee. 
Potenza non è onnipotenza; nè contrasta al nostro principio il 
fatto, tante volte invocato, che, anche vedendo il bene, si può 
seguire il male. Chi pur seguendo il male, vede il bene, ha in 
sè almeno l’inizio di una nuova forza che, coltivata e diretta, 
può col tempo condurlo a praticare il bene. 

9) Avvertenza prima: sapere verbale e sapere reale 

Ma qui devono esser tenute presenti due avvertenze. La 
prima è che per « sapere > non si deve intendere il sapere ver¬ 
bale, papagallesco, che si ciba di vuote parole, ma quel sapere 



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che è visione delle cose. Il primo è fatto di parole ; non dob¬ 
biamo meravigliarci se è inerte ed inefficace. La concezione re¬ 
ligiosa è, nella maggior parte dei credenti, sterile; essa non im¬ 
pedisce l’egoismo e il vizio. Ma che cosa è la fede religiosa 
nella maggior parte altro che una vana professione di parole ? 
Quando invece è convinzione, cioè sapere posseduto e vissuto, 
allora può anche condurre al martirio. La maggior parte delle 
idee che gli uomini hanno o credono di avere sono generalmente 
poco attive perchè sono un sapere di segni e di parole, non del 
contenuto. Quando si parla dell’imprevidenza e delle sue funeste 
conseguenze si pensa la cosa vagamente e astratta: ma quando 
si traduce questa conoscenza astratta in intuizioni e si vede o 
si contempla nell’ immaginazione le sofferenze che essa porta 
con sè, si passano in rassegna e si assaporano i varii aspetti 
della miseria, le acute sofferenze dell’amor proprio offeso, allora 
l’idea della imprevidenza cessa di essere un concetto vago, senza 
efficacia e può essere il principio di una reazione e di una nuova 
condotta. Così la maggior parte dei ricchi e dei felici non cono¬ 
scono che in astratto le miserie umane: perciò sono in generale 
così duri verso il misero. Per diventare migliori avrebbero bi¬ 
sogno di provare e di conoscere in concreto che cosa voglia 
dire il vivere tra le sofferenze e le privazioni. 

10) Avvertenza seconda : Sapere frammentario e sapere 

organico 

La seconda avvertenza si riferisce all’obiezione che si sente 
così spesso opporre: e cioè che il progresso della cultura e 
dell’istruzione non sembra coincidere affatto con il progresso 
morale. Questo vale degli individui: non si vede affatto che vi 
sia proporzione fra la cultura intellettuale e la moralità e l’energia. 
E vale anche dei popoli, dove la civiltà sembra avere per effetto 
di diminuire la criminalità violenta, ma accresce per contro altre 
forme di delinquenza, forse più biasimevoli ancora. « Che rap¬ 
porto vi è — dice giustamente Spencer — fra l’imparare che 
certi segni rappresentano certe parole e l’acquistare un senso 
più elevato del dovere ? Come la conoscenza della tavola Pita¬ 
gorica può svolgere i sentimenti di simpatia umana ? Come i 
dettati d’ortografia e l’analisi grammaticale possono favorire il 



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senso della giustizia? ». L’ironica osservazione di H. Spencer 
è perfetta niente giustificata. Non ogni sapere è ugualmente im¬ 
portante sotto questo riguardò. Lo studio dei costumi delle for¬ 
miche potrà destare sentimenti d’ammirazione e di simpatia per 
questi industriosi insetti e in via indiretta sentimenti generali re¬ 
lativi alla meravigliosa natura: ma l’influenza sua sulla vita non 
potrà essere che molto scarsa. E così è di ogni sapere frammen¬ 
tario e sconnesso. Il vero sapere, di cui parlano Socrate e Platone, 
è il sapere che potremmo dire in largo senso filosofico : quello 
che per lunghi secoli le tradizioni religiose hanno trasmesso 
nell’umanità e che ora la moderna istruzione scalza e distrugge 
senza sostituirlo. Allora si comprende perchè anzi l’istruzione, 
come oggi è impartita, riesca ad una vera depressione morale 
e serva alla corruzione anziché al miglioramento dei costumi. 

11) Conclusioni circa l’educazione della volontà 

Noi possiamo dunque, se non mutare improvvisamente il 
corso delle nostre volontà e delle nostre tendenze, ciò che sa¬ 
rebbe un miracolo, introdurre in noi il germe di nuove energie 
e nuovi orientamenti e, facendo convergere su questi nuovi ele¬ 
menti ia nuova attenzione, difenderli, fortificarli, farne il principio 
di una nuova volontà e di un nuovo indirizzo della vita. Questo 
potere è il potere dell’intelligenza o meglio della ragione, vale 
a dire dell’intelligenza applicata non all’analisi degli elementi 
singoli dell’esperienza, ma alla considerazione della realtà nel 
suo complesso della vita, del nostro destino e del posto che 
in essi occupano i diversi momenti e i compiti dell’esistenza. 


IV. 

La riflessione 

1) La riflessione come sorgente della volontà 

La riflessione, nella quale abbiamo trovato la radice della 
nostra volontà, non ha punto bisogno di essere una filosofia, 
se pure non si vuol dare questo nome ad ogni più umile pen¬ 
siero che si levi per un momento dalle materialità grossolane 



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dell’esistenza a riflettere sopra la vita ed i suoi compiti. E nep¬ 
pure bisogna credere che in ogni esercizio della volontà inter¬ 
venga una riflessione di questa natura. Una gran parte degli atti 
nostri è dovuta ad abitudini, a sentimenti radicali che agiscono 
ormai meccanicamente. Ma l’origine prima di ogni nuovo indi¬ 
rizzo della volontà è stato un atto di riflessione. Tutti veniamo 
al mondo portando con noi un complesso di tendenze fissate 
nei nostri organi e nella nostra costituzione, che sono il risultato 
delle esperienze delle innumerevoli generazioni che ci hanno 
preceduto. Ma nel corso della vita la nostra volontà non si limita 
a svolgere passivamente le tendenze ereditate: vi è in ciascuno 
di noi una specie di forza creatrice interiore che modifica e 
plasma l’azione di questa tendenza, suscitandone nuove forme 
di volontà. Che cosa sia questa misteriosa energia non sap¬ 
piamo, nè abbiamo qui bisogno di ricercarlo: ciò che per noi 
è essenziale è questo : che, allo stato nascente, questa energia 
è ciò che diciamo conoscenza, pensiero. Chi di noi non ha mai 
provato un singolare, inaspettato rimpianto nell’abbandono 
di luoghi che credevamo a noi indifferenti ed a cui eravamo 
legati soltanto da una lunga consuetudine ? Questo ci insegna 
che nessuna immagine cade indifferente nell’animo nostro: ogni 
visione è un amore o un odio che nasce. Così ogni nuovo in¬ 
dirizzo della volontà non può essere nelle sue origini che un 
pensiero. Anche nella storia sono le grandi correnti di pensiero, 
i grandi movimenti speculativi e religiosi che alimentano per se¬ 
coli l’energia di un popolo e continuano spesso a produrre il 
loro effetto anche quando la sorgente viva si è inaridita, come 
un movimento che continua ancora per qualche tempo dopo 
che già è cessato l’impulso. 

2) Essa è l'unica sorgente dell’energia volitiva 

Da ciò si vede che è vano sperare di infondere energia 
nella volontà dall’esterno: sarebbe come un voler creare dal 
nulla. È vero che noi possiamo stimolare in modo meccanico 
l’altrui volontà (ed in certi casi anche la nostra) nel risvegliare 
un sentimento, con I’ esempio, con la suggestione : ma in tutti 
questi casi il principio che muove è una volontà straniera; si 
tratta di un movimento meccanico e subordinato che ha la sua 



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origine nell’attività di un’altra volontà. La suggestione, l’abitu¬ 
dine e tutti gli altri artifizii coi quali si crede di fortificare la 
volontà non sono che meccanismi subordinati, i quali presup¬ 
pongono sempre una volontà dirigente, da cui essi attingono, 
in ultima analisi, la loro energia: per educare e fortificare in noi 
la volontà, noi possiamo bene servirci dell’azione dì questi mec¬ 
canismi, ma sempre solo in via secondaria e subordinata; il solo 
processo veramente creatore di volontà e di energia è la rifles¬ 
sione, il pensiero. 

Se pochi sono gli uomini che veramente vogliono, ciò è 
perchè pochi sono gli uomini che pensano: se la volontà ener¬ 
gica ha poca parte nella nostra vita, ciò è perchè nella maggior 
parte dei momenti noi ci abbandoniamo alle impressioni e ne 
seguiamo passivamente gli impulsi. Anche nella vita apparente¬ 
mente più ragionevole, se noi togliamo ciò che è dovuto alle 
suggestioni dell’educazione, del linguaggio, dell’opinione pub¬ 
blica, quanto poca è la parte che rimane al pensiero ed alla 
volontà personale ! Avere una volontà personale vuol dire anzi¬ 
tutto essere orientati sul corso che si deve tenere, sapere che 
cosa si deve volere, avere una visione personale del mondo, 
della vita e dei propri doveri. 

3) Il primo atto di cultura della volontà è un atto di riflessione 

11 primo atto di cultura della volontà deve quindi essere 
un atto di riflessione generale, che traduca in una visione sem¬ 
plice e precisa le innumerevoli esperienze e riflessioni che ab¬ 
biamo fatto sulla vita, e ci orienti almeno in modo sommario 
sul cammino che dobbiamo tenere. La maggior parte degli uo¬ 
mini manca di una volontà decisa, perchè manca di un pensiero 
chiaro e preciso. Travolti dalle impressioni, dominati dagli im¬ 
pulsi, raramente essi trovano il tempo di gettare uno sguardo 
al di là delle circostanze presenti, di riflettere seriamente sul 
corso della vita : spesso anche la loro leggerezza ne rifugge, 
perchè il fondo delle cose non è nè facile nè lieto. Perciò anche 
la loro attività è saltuaria e superficiale, la loro vita è diretta più 
dalle circostanze e dalle pressioni esteriori che da una legge 
interiore; ed anche ciò che essi hanno di volontà e di ragione 
è messo il più delle volte al servizio degli impulsi più irragione- 



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voli. Educare in sè la volontà, creare in sè un carattere, vuol 
dire creare in sè un’unità di direzione, imporre a tutta la propria 
vita un fine ed una legge. Ma questa imposizione non è qualche 
cosa che possa scaturire in noi per un atto magico; la volontà 
nuova che in essa si rileva, è l’energia stessa che è contenuta 
nella razionalità del fine, è la potenza di un’idea che noi ab¬ 
biamo riconosciuta esprimere la verità delle cose e che perciò 
si è imposta come il valore più alto, come la legge ideale di 
tutta la vita. 


4) Questo primo atto di riflessione è la sistemazione pratica 

dei principii della vita 

Naturalmente questa riflessione non ha bisogno di costituire 
un sistema filosofico: per quanto in fondo essa sia l’origine di 
ogni filosofia e quindi in un certo senso si possa dire che la 
vita di ogni uomo di carattere è la traduzione in pratica di una 
filosofia semplicissima professata inconsapevolmente. Questa ri¬ 
flessione non ha bisogno nemmeno di essere una esplicazione 
delle cose: essa potrebbe anche riassumersi nella tesi scettica 
che in fondo nulla sappiamo nè del mondo nè della vita. Ma si 
veda, per esempio, nell’Ecclesiaste come questa rinuncia scettica 
dà origine a tutta una filosofia pratica della vita, piena, è vero, di 
amara tristezza, ma coerente e profonda! Anzi, trattandosi di un 
pensiero diretto essenzialmente verso le finalità pratiche, desti¬ 
nate ad essere il principio direttivo di un nuovo ed energico 
orientamento della volontà, sarà bene che esso sorvoli dapprin¬ 
cipio sopra gii innumerevoli e spesso insondabili problemi della 
filosofia, e si arresti a quelle conclusioni sommarie intorno alla 
vita, che la riflessione personale può ricavare in modo imme¬ 
diato dall’ esperienza, dalla cultura, dalla tradizione. Chi volesse 
attendere d’ aver risolto tutti i problemi teorici per regolare su 
di essi la propria condotta, sarebbe come il buon villico di 
Orazio che aspettava, per passare all’ altra riva, che il fiume 
avesse ftnito di scorrere. Il primo atto della riflessione sarà 
quindi una sistemazione pratica dei principii direitivi delia vita, 
la quale non esclude, anzi presuppone che anche in appresso 
il pensiero non cessi di tenere presente il grande problema, e 



— 27 — 


con la meditazione corrobori e rinnovi le conclusioni provvisorie 
alle quali si è arrestato nel primo istante. 

Come esempio tipico di questa riflessione complessiva sulla 
vita — certo in un particolarissimo indirizzo — possono essere 
citati gli Esercizi di S. Ignazio che il P. Lindworsky analizza e 
addita come un modello perfetto di quella riflessione che si pro¬ 
pone non di illustrare una concezione teoretica, ma di offrire 
un sistema di verità e di valori esteso a tutta la vita e diretto 
a realizzare un nuovo indirizzo della volontà. Essi infatti non 
si prefiggono punto di convertire e di dimostrare; presuppon¬ 
gono il sistema della dottrina cattolica e solo mirano a tradurla 
in un sistema semplice di principii e di considerazioni fonda- 
mentali atte a costituire nello stesso tempo un efficacissimo si¬ 
stema di norme pratiche. Essi partono dalla considerazione della 
verità cardinale di tutto il sistema; Dio come principio e fine 
di tutta la vita ; a cui viene contrapposta la meditazione della 
negazione pratica di Dio, del peccato con tutte le sue conse¬ 
guenze. A questo primo nucleo di considerazioni si aggiunge 
in un secondo tempo un secondo gruppo di pensieri : Cristo, 
come guida all’eterna salute e come modello dell’uomo. Da questo 
modello divino discende all’uomo un ideale di vita: qualunque 
sia il suo genere d’esistenza, le sue virtù ed i suoi doveri si ri¬ 
connettono al divino esemplare e per mezzo di questo a Dio. 
Questo quadro della vita cristiana viene presentato all’ uomo 
in modo breve ed intuitivo, come una visione sommaria che 
egli deve svolgere, ed elaboratore in se stesso, nello stesso tempo, 
come un apprezzamento complessivo, dal cui punto centrale 
egli può giudicare tutta la sua vita e derivarne le norme neces¬ 
sarie. Il segreto della loro grande efficacia sta appunto in questo: 
che l’anima cristiana trova in essi un sistema perfettamente ela¬ 
borato di considerazioni e di principii, il quale si estende a tutta 
la vita e può venire immediatamente tradotto in un nuovo indi¬ 
rizzo di vita. 

Ciò che essenzialmente importa in questa sistemazione pra¬ 
tica è che essa abbracci la totalità della condotta e costituisca 
una specie di breve e chiaro codice della vita considerata sotto 
ogni aspetto: questa unità interiore è il carattere che ne fa una 
sorgente d’energia. Un uomo è profondamente diverso quando 
i diversi valori e le diverse attività, invece di essere altrettante 



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sfere separate, costituiscono un unico sistema di pensieri e di 
valori, nel quale i valori personali e professionali, gli affetti della 
famiglia, i sentimenti sociali, l’amore della patria e dell’umanità, 
il senso religioso della vita si dispongono armonicamente in 
modo che tutti si ricongiungono, attraverso reciproci rapporti, 
ad un principio supremo. È facile immaginare quale differenza 
vi è tra un uomo le cui attività si disperdono in una moltepli¬ 
cità incoordinata ed un uomo nel quale tutti i fini convergono 
verso un ideale unico della vita, la cui energia si riflette in cia¬ 
scuno dei fini particolari e subordinati. Questo codice della vita 
comincierà naturalmente con qualche principio generale che 
adombri quella visione particolare delle cose, che ha poi la sua 
traduzione pratica nel sistema delle norme: quindi formulerà nel 
modo più completo e più conciso che sia possibile le con¬ 
seguenze che ne discendono relativamente alla vita personale 
(attività economica, temperanza, coraggio, dominio di sè) ed alla 
vita sociale (rapporti di giustizia e di carità nella famiglia, nello 
stato, nell’umanità) per concludere con i precetti relativi al per¬ 
fezionamento intellettuale è religioso. Per quanto questa visione 
della vita debba esplicarsi in un’ intuizione immediata, ciò non 
esclude che essa debba venire formulata rigorosamente in un 
sistema di concetti e di principii astratti. È bene, per esempio, rap¬ 
presentarsi vivamente il contenuto ideale d’una virtù, della veracità, 
della fedeltà, ecc., in modo che ne sentiamo tutto il valore; ma 
è bene anche formulare il relativo precetto in uno o più principii 
astratti, immutabili, che possono costituire un possesso durevole 
della coscienza e servire come di centro di collegamento alle 
intuizioni più ricche di contenuto e di energia motrice, che vi 
si collegano. Le rappresentazioni intuitive sono infinitamente più 
efficaci, è vero, che non le astrazioni, ma sono anche più mu- 
tevoli e fugaci ; perciò esse hanno bisogno della espressione 
astratta come d’un nucleo sempre vivo, dal quale possano ad 
ogni occasione risorgere e come d’un principio che è il criterio 
costante del loro valore. 

Prima dote essenziale di questo codice personale deve es¬ 
sere la chiarezza: esso dovrà venire formulato in altrettante mas¬ 
sime semplici, nette, distinte che segnino con chiarezza la via 
da seguire, e siano come una guida sicura, decisa, imperiosa 
in ogni contingenza della vita. 



29 — 


Seconda dote essenziale deve essere la brevità, in modo 
che esso possa venir tenuto presente nella sua totalità allo spi¬ 
rito e venir rievocato con facilità: un sistema complicato di norme 
finirebbe per restar lettera morta. 

Terza dote deve essere la praticità: senza escludere il pro¬ 
gresso ed il perfezionamento, esso deve contenere un programma 
attuabile, senza sforzi eccessivi : del resto a che servirebbe il 
proporsi delle norme di un’altissima perfezione se esse debbono 
restare allo stato di pii desideri ? 

La seconda legge 

Possiamo quindi formulare questo precetto: 

« Procura, per mezzo di una seria riflessione sulla vita e 
sui suoi compiti, di tracciare a te medesimo una legge ideale 
della condotta che si estenda a tutta la tua vita. Esprimila in 
un piccolo numero di massime, chiare, semplici, pratiche ». 


V. 

La meditazione 


1) La meditazione come ripetizione 

Il primo atto di chi è deciso a rinnovare la propria volontà 
e la propria vita non sarà quindi un semplice proposito pratico 
che rimarrebbe allo stato di sterile velleità, ma un rinnovamento 
di tutto il proprio pensiero per mezzo della riflessione. Egli 
dovrà chiamare a raccolta le sue esperienze, le sue convinzioni, 
le sue aspirazioni e stendere col loro aiuto una specie di con¬ 
fessione intima che sia una professione di fede e ad un tempo 
un codice della condotta. Ma questa sistemazione pratica dei 
principii della vita non otterrebbe una grande efficacia se rima¬ 
nesse un atto singolo ed isolato. Ogni volontà è inizialmente 
un atto della riflessione ; ed ogni nuovo pensiero è un nuovo 
orientamento iniziale della condotta. Ma perchè questo orienta¬ 
mento iniziale non si perda nell’infinito numero delle vane vel- 



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leità, è necessario che esso venga mantenuto nella coscienza, 
esercitato, messo in rapporto con tutte le nostre attività: questa 
è l’opera della meditazione. Tutte le diverse forme di pratiche 
devote alle quali le religioni danno così grande importanza, adem¬ 
piono precisamente allo stesso ufficio, che è di rendere viva e 
presente alla coscienza la dottrina contenuta nei dogmi, di trasfor¬ 
mare le verità religiose in convinzioni efficaci ed in sentimenti. 
Se sovente esse mancano a questo loro compito, ciò avviene 
perchè vengono intese in un senso esteriore e superficiale; non 
come mezzi di provocare una disposizione interiore, ma come 
atti dotati per se stessi di un carattere di santità é di efficacia 
miracolosa. Primo atto della meditazione sarà la ripetizione fre¬ 
quente, quotidiana di quel breve complesso di formule in cui 
sono state fissate le norme essenziali della vita. La Chiesa, col 
prescrivere la ripetizione quotidiana di un certo numero di pre¬ 
ghiere, che contengono i principii fondamentali della vita cri¬ 
stiana, si è proposta, con profonda conoscenza del cuore umano, 
lo stesso fine. Un pensiero, un proposito richiamati sistematica- 
mente alla coscienza per un lungo periodo, fatti oggetto di una 
breve riflessione tutti i giorni, acquistano, per il fatto stesso della 
ripetizione, un impero straordinario sulla coscienza. « In chi¬ 
mica — dice il Payot — se in una soluzione contenente più 
corpi in saturazione si immerge un cristallo, dalle profondità della 
soluzione le molecole della stessa natura del cristallo, mosse da 
un’attrazione misteriosa, vengono ad aggrupparsi lentamente 
intorno ad esso. Il cristallo cresce a poco a poco e se l’immo¬ 
bilità ha durato delle settimane e dei mesi, si ottengono quei 
meravigliosi cristalli che per il loro volume e la loro bellezza 

sono la gioia e l’orgoglio di un laboratorio.Lo stesso avviene 

in psicologia. Se si mantiene al primo piano della coscienza 
uno stato psicologico qualunque, insensibilmente, per un’affinità 
non meno misteriosa che l’altra, gli stati intellettuali e gli stati 
affettivi della stessa natura vengono a raggrupparsi intorno ad 
esso. Se questo stato è mantenuto per lungo tempo, può orga¬ 
nizzare intorno a sè una massa considerevole di energie, acqui¬ 
stare in modo decisivo una sovranità quasi assoluta sulla co¬ 
scienza e fare tacere tutto ciò che non è lui. Se questa « cristal¬ 
lizzazione » si è operata lentamente, senza contraccolpi, senza 
interruzioni, essa prende un carattere di solidità notevole. Il gruppo 




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così organizzato ha qualche cosa di potente, di calmo, di defi¬ 
nitivo » (pag. 94-95). 

2) Come dev’essere questa ripetizione 

Naturalmente questa ripetizione quotidiana non deve essere 
una stanca ed affrettata ripetizione meccanica di parole. Le pa¬ 
role sono soltanto dei segni astratti e morti, che non hanno al¬ 
cuna ripercussione sulla vita interiore; esse debbono servire alla 
rievocazione delle immagini, che sole hanno reale efficacia; ma 
se la rievocazione non ha luogo, non giovano a nulla. Non bi¬ 
sogna quindi appagarsi di una ripetizione verbale : bisogna ar¬ 
restarsi ad ogni massima, commentare mentalmente ogni parola, 
cercando di richiamare con tutta la vivezza possibile le immagini 
che essa suggerisce. È un precetto che ci impone di essere forti 
dinanzi al dolore? Bisogna rievocare in noi il ricordo dei mo¬ 
menti dolorosi in cui abbiamo trovato la forza di resistere, as¬ 
saporare la soddisfazione profonda che questa superiorità ci ha 
procurato, richiamare la visione degli esempi di vigore d’animo 
che ci hanno riempito il cuore di ammirazione e di invidia: 
quale forza non acquisterà in noi questo proposito quando venga 
così costantemente per un lungo tempo esercitato e tenuto pre¬ 
sente, come una suggestione efficace, allo spirito! 

3) La meditazione come esercizio 

A questa meditazione dei principii i moralisti antichi con¬ 
sigliano di aggiungere V esercizio, vale a dire di farne men¬ 
talmente l’applicazione ai casi immaginati o reali della vita. 
Epitteto, specialmente, nei Discorsi, ce ne offre eccellenti esempi. 
Quando ci siamo proposti una norma di vita, noi dobbiamo 
considerarne le possibili applicazioni e chiederci: Che cosa farei 
in questa circostanza? Quale dovrebbe essere la mia condotta, 
se dovessi cadere in povertà? Se una malattia mi colpisse? 
Avrei l’energia di dirigere i miei atti secondo le norme che con 
tanta saggezza ho stabilito? E più efficace ancora sarà l’appli¬ 
cazione ai casi reali, la comparazione fra la nostra condotta e 
il nostro ideale, l’esame di coscienza fatto giorno per giorno 
nella quiete della propria stanza, alla sera quando tacciono at- 




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torno a noi le agitazioni del mondo e più viva risuona nell’anima 
la voce del nostro giudice interiore, piena di profondi avverti¬ 
menti e di salutari ammonizioni. Questa pratica dell’esame quo¬ 
tidiano, già consigliata dagli antichi stoici, è uno dei mezzi più 
efficaci per fortificare in noi le risoluzioni migliori, per sottrarci 
gradualmente all’impero delle abitudini ed accostare sempre più 
la nostra condotta all’ ideale che ce ne siamo tracciati. Quanto 
più energica ed operosa sarebbe, per esempio, la nostra vita, se 
ogni sera ci impegnassimo di rendere a noi medesimi stretto 
conto del modo in cui abbiamo occupato la giornata ! 

4) Il raccoglimento quotidiano 

Certo questa ripetizione e questo esercizio esigono ogni 
giorno alcuni istanti di raccoglimento : ciò che diventa sempre 
più difficile in questa nostra vita odierna così rumorosa ed agitata, 
travolta in un turbine continuo d’impressioni e di passioni, che 
non lascia allo spirito nè pace nè riposo. Bisogna tuttavia saper 
togliere ogni giorno alcuni minuti alle occupazioni abituali per 
dedicarli alla meditazione; o quanto meno utilizzare a questo fine 
quei momenti in cui l’animo nostro è libero, invece di perderli 
in fantasticherie puerili od in frivoli passatempi. Le ore insonni 
della notte, le lunghe ore di viaggio e di attesa possono ben 
venir consacrate, senza alcun pregiudizio, alla meditazione: nè 
sarebbe più difficile, in qualsiasi condizione, consacrare a questo 
fine una breve passeggiata solitaria di mezz’ora. I moralisti con¬ 
sigliano anche di dedicare tutti gli anni qualche breve periodo 
di alcuni giorni, che fosse come un ritorno su tutto il passato, 
una specie di < ritiro spirituale » della coscienza. Nè sarebbe 
necessario per questo ritirarsi, come un tempo, nel silenzio di 
un chiostro; basterebbe chiedere ai giorni che si dedicano al 
mare o alla montagna, in luogo di rumorose distrazioni, un poco 
di solitudine e di raccoglimento. 

5) I libri dell'anima 

Alla meditazione ed all’esercizio delle norme direttive della 
vita dovrebbe andar unita sempre la lettura di qualche libro 
dell’anima; ciascuno dovrebbe scegliere tra i volumi eterni che 



33 — 


hanno servito di guida e di conforto alla umanità attraverso i 
secoli, quello o quelli che più si avvicinano alla sua concezione 
ideale, e servirsene come d’un viatico quotidiano, onde attingerne 
materia per le proprie meditazioni, consolazione nelle avversità, 
forza nelle risoluzioni. Tale è stata per molti secoli la Bibbia; 
tali possono essere anche oggi per molti, secondo le loro cre¬ 
denze, il Vangelo, l’Imitazione di Cristo, i Discorsi di Epitteto, 
le Meditazioni di M. Aurelio, i Doveri dell’Uomo di Mazzini, gli 
Aforismi di Schopenhauer. Anche le opere letterarie possono 
servire a questo fine, specialmente quelle che congiungono alla 
bellezza la profondità del pensiero; come pure le biografie di 
uomini grandi, che possono infiammarci col loro esempio. L’es¬ 
senziale è che ciascuno scelga, secondo le proprie preferenze, 
il libro o i libri nei quali ha trovato un conforto ed una guida 
nella vita, e che rimanga ad essi fedele come ad un amico pre¬ 
zioso ed inseparabile. 

6) La difesa contro le suggestioni avverse 

A queste norme positive si deve aggiungere un ultimo pre¬ 
cetto negativo : che è di tenersi accuratamente lontani da tutte 
le compagnie, dagli ambienti, dalle suggestioni che contrastano 
con i principii adottati. È inutile proporre a se medesimo un 
codice della condotta e sforzarsi con meditazioni quotidiane di 
farsene una legge di vita, se apriamo ogni giorno l’adito ad 
esempi, a conversazioni, a spettacoli che esercitino su di noi 
un’azione deprimente. La conversazione di persone mediocri, i 
pregiudizi correnti del mondo, la lettura dei giornali e delle ri¬ 
viste che rispecchiano le idee banali della moltitudine, servono 
a tutt’altro che ad elevare l’intelligenza ed il carattere: colui che 
si disperde nella vita esteriore non può non subirne l’influenza 
e non, aprire involontariamente T animo alle basse idee di ipo¬ 
crisia, di servilità al denaro ed alla potenza che guidano il 
mondo. Si aggiunga a questo l’influenza sottile e demoralizzante 
del linguaggio, ispirato ai preconcetti del volgare, lo spettacolo 
triste delie cose del mondo, che sembra predicare la morale del 
piacere e del successo : come potrà, chi non è ancora ferma¬ 
mente stabilito nelle sue convinzioni, non perdervi ogni giorno 
qualche cosa del suo vigore morale? Per questo anche Epitteto 



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consiglia colui che si inizia alla virtù di cercar di vincere fug¬ 
gendo. Noi non consigliamo per questo di chiudersi in un 
isolamento cieco ed intollerante. È bene guardare a fondo tutte 
le cose ed affrontare tutte te esperienze : ma una volta formato 
il nostro concetto della vita e formulata la nostra legge, è inu¬ 
tile esporsi ancora alle suggestioni di ciò che abbiamo già una 
volta con chiara coscienza condannato e che ha sempre ancora 
nella parte inferiore di noi un pericoloso alleato. Nel mondo 
delle idee, l’intelligenza deve essere aperta a tutte le correnti, 
a tutte le verità; nel campo pratico la volontà deve essere gelosa 
custode della sua purezza e respingere da sè con rigida intransi¬ 
genza ogni colpevole compiacenza ed ogni pericolosa debolezza. 

La terza legge 

Possiamo quindi, riassumendo tutto ciò che si è detto in¬ 
torno alla meditazione, formulare così la nostra terza legge: 

« Dedica ogni giorno un breve tempo alla meditazione della 
regola della tua vita ; esamina e giudica, col suo aiuto, la tua 
condotta di ogni giorno; confortala con la lettura di qualche 
libro dell’anima; tieni rigorosamente lontano da te ogni spetta¬ 
colo, ogni lettura, ogni parola che sia in contrasto con le tue 
convinzioni morali ». 

VI. 

I meccanismi psicologici 


I. - L’abitudine 


1) I meccanismi psicologici 

L’attività veramente creatrice di energia è, come si è veduto, 
la riflessione: ogni nuovo indirizzo della volontà è iniziato dalla 
ragione: ciò che si dice ragione pratica non è che l’energia 
inerente alla ragione ed ai suoi principii generali che, una volta 
rivelati allo spirito, orientano lentamente verso di sè le tendenze 
pratiche, e quando vengano mantenuti e fissati nello spirito con 



35 — 


una certa costanza, acquistano gradualmente un incontrastato 
dominio sullo spirito. Voler promuovere in sè l’energia della 
volontà vuol dire quindi promuovere in sè la vita della ragione, 
creare in sè con la riflessione una visione razionale della vita 
che venga poco per volta, per mezzo della meditazione, ad in¬ 
carnarsi nella nostra stessa condotta. La vera e prima sorgente 
delle grandi risoluzioni sono i grandi pensieri ; e gli uni e le 
altre non si improvvisano in noi per una specie di atto magico, 
ma esigono una lunga preparazione ed un lungo esercizio. 

Però l’ordinamento della vita sarebbe cosa troppo grave e 
difficile se ad ogni momento, in occasione di ogni decisione 
noi dovessimo fare appello alla riflessione. Questa è necessaria 
senza dubbio nei momenti gravi, nelle decisioni importanti da 
cui può dipendere l’orientamento di tutta la vita. Allora è ne¬ 
cessario arrestarsi un momento, considerare noi stessi, il nostro 
posto, il nostro compito, le possibilità oscure dell’ avvenire. 
Questo atto di meditazione, che è un contatto nuovo e più vivo 
con la realtà, è già esso medesimo una nuova volontà iniziale : 
è il nuovo io, che, nascendo, orienta verso di sè le tendenze 
ed i sentimenti dell’ io antico ed apre all’ attività con maggiore 
o minore energia un nuovo cammino. Ma negli atti quotidiani 
della vita, quando la direzione fondamentale non muta, noi pos¬ 
siamo abilmente utilizzare i meccanismi della vita interiore; ciò 
che offre il mezzo di subordinare rapidamente tutta la vita alle 
nostre volontà essenziali, e nello stesso tempo costituisce un no¬ 
tevole risparmio di energia. 

2) Come essi siano la condizione del progresso della volontà 

Senza dubbio non bisogna mai dimenticare che essi sono 
soltanto dei meccanismi, ossia elementi accessorii, i quali pre¬ 
suppongono la presenza d’ una volontà energica, e non cadere 
nell’illusione che essi bastino da sè a crearla. Ma quando questa 
limitazione venga tenuta presente, è giusto anche riconoscere 
che essi non sono soltanto utili artifizii, ma sono condizioni 
indispensabili dell’esercizio e dell’educazione progressiva della 
volontà. Nessuna norma di vita può infatti costituire per questa 
un ideale definitivo: quando essa si prefigge un sistema di pre¬ 
cetti, non sembra in verità proporsi altro fine che quello di su- 



- 36 — 


perarli, di trasformarli in abitudini meccaniche, per proporsi 
quindi nuove leggi e nuovi ideali. La vita della volontà è un 
progredire continuo, un lottare, un salire senza tregua : ciò che 
ha valore non è il risultato, ma la vittoria, perchè apre la via 
a nuovi cimenti, ad un nuovo svolgimento di una attività alla 
quale non vediamo posto alcun confine. La cultura della volontà 
non deve quindi soltanto prefiggersi di suscitare in noi nuove 
volontà direttive e di farle trionfare nella coscienza; ma anche 
di trasformarle in abitudini, di meccanizzarle il più rapidamente 
che sia possibile, onde permetterci di rivolgere i nostri sforzi 
verso fini sempre più alti. Ciò vale specialmente, si comprende, 
delle attività che hanno carattere di mezzo e servono a fini su¬ 
periori e più generali : se noi dovessimo sempre spendere la 
nostra energia e vincere con la riflessione le tendenze opposte, 
non ci rimarrebbe nè tempo nè forza per le attività superiori 
che rappresentano il vero scopo della vita. L’operosità di chi 
sa impiegare utilmente anche ogni quarto d’ora è una dote pre¬ 
gevole per sè, ma non è una perfezione assoluta e serve all’uomo 
attivo a realizzare sulla terra la bontà e gli altri fini superiori: 
quindi, se pur da principio sarà necessario proporsi con chiara 
coscienza di non perdere mai un quarto d’ora di tempo, sarà 
pur bene poi cercar di fare di questa bella dote un’ abitudine 
per poter dedicare più completamente se stesso a quei fini che 
soli possono dare un valore all’esistenza. 

3) La formazione delle abitudini 

Il primo di questi meccanismi psicologici che la cultura 
della volontà deve utilizzare, è la formazione dell’abitudine : una 
tendenza generale dello spirito fa sì che le sue attività, col ripe¬ 
tersi, tendono a diventare semplici reazioni meccaniche, dalle 
quali la coscienza tende gradualmente a scomparire. La forma¬ 
zione delle abitudini è un beneficio ed un risparmio di energia 
per lo spirito, che ritraendosi successivamente, per così dire, 
dalle attività fissate ed oltrepassate, può concentrare la sua atten¬ 
zione ed i suoi sforzi in altre attività superiori; soltanto una lunga 
consuetudine ha in noi associato la figura di certe lettere con 
certi suoni e con certe immagini ; ma se il linguaggio e la 
scrittura non si fossero per noi trasformati in associazioni abi- 



37 - 


tuali quasi meccaniche, come potremmo noi far convergere la 
nostra attenzione sul senso delle frasi e del discorso ? Certo il 
meccanizzarsi dello spirito può costituire un pericolo ; quando 
lo spirito si arresti, cessa di progredire e si adagia nelle vie 
consuete che non esigono più alcuno sforzo. Così nel campo 
pratico il valore morale dell’azione diminuisce di mano in mano 
che essa si riduce ad un’ abitudine ; ma non vi è nella volontà 
agente decadenza, vi è anzi progresso, se questa formazione di 
abitudini è solo il meccanizzarsi di un’ attività subordinata che 
la riflessione utilizza in vista di fini superiori. Bene è quindi, 
specialmente nelle attività che si ripetono e che servono ad altre, 
favorire questo processo con la regolarità dell’azione. A questo 
fine giova introdurre nella propria vita un ordine tale che ogni 
parte della nostra attività abbia il suo tempo e le sue regole 
fisse, e tenda così insensibilmente a passare in un abito. Questo 
non deve certo venire inteso in modo eccessivamente pedan¬ 
tesco, nel senso che si debba rinserrare la nostra attività in un 
quadro minuzioso e rigoroso, dove ogni minimo particolare sia 
segnato in precedenza : ciò avrebbe lo stesso destino delle re¬ 
gole troppo precise, che non vengono mai eseguite. Questo vuol 
dire soltanto che nelle attività soggette a ripetersi è bene intro¬ 
durre la massima uniformità e il massimo ordine possibile. Ciò 
ha il primo ed inestimabile vantaggio di diminuire lo sforzo che 
esse esigono e di trasformare anzi a poco a poco in una specie 
di bisogno ciò che prima costituiva un sacrificio penoso. Senza 
questa regolarità e questo ordine, che sono pur stati la creazione 
di una volontà rigorosa, non sarebbe possibile la realizzazione 
dei grandi fini : ciò che distingue i caratteri energici è precisa- 
mente questo: che essi hanno saputo sottomettere definitivamente 
alle loro volontà dominanti la massa ingombrante delle attività 
inferiori ed accessorie, in cui i deboli si impacciano e cadono 
miseramente. 

4) Suoi vantaggi 

Ma questo ordinamento sistematico, secondo il tempo e se¬ 
condo la forma, delle nostre attività subordinate, ha anche altri 
vantaggi notevoli che vai pure la pena di ricordare. Esso rende 
infatti possibile un lavoro molto più intenso e fecondo che l’at¬ 
tività saltuaria e disordinata: le grandi opere sono compiute dal 



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lavoro paziente e perseverante, non dagli sforzi tumultuarii e 
temporanei a cui succedono inevitabilmente periodi di depres¬ 
sione e d’inerzia. In secondo luogo rende possibile l’utilizzazione 
perfetta del tempo che si perde spesso così scioccamente e che 
non manca mai a chi sa metterlo a profitto: quando ogni giorno 
ed ogni parte del giorno ha il suo compito assegnato, non vi è 
più luogo ad esitazioni, a pigre incertezze : tutto è fatto a suo 
tempo ed è fatto a fondo come esige 1’ ordine prefisso. Infine 
la vita ordinata e sistematica, imponendo ad ogni ora il suo 
compito, ci salva dal pericolo delle fantasticherie vane in cui 
si disperdono spesso inutilmente il tempo e l’energia interiore; 
ci tien lontani dai lavori oziosi, nei quali ci illudiamo di essere 
attivi, mentre in realtà cerchiamo solo in essi il mezzo di sfug¬ 
gire ad occupazioni più necessarie, ma più penose; e ci sostiene 
infine nelle ore di avvilimento e di tristezza, in cui unico rimedio 
è l’abitudine del lavoro perseverante e regolare. 

La quarta legga 

Noi esprimeremo perciò questa necessità all’ordine ed alla re¬ 
golarità nelle occupazioni quotidiane nella seguente quarta legge: 

« Nel tradurre in pratica la tua norma di vita, assoggetta 
l’attività tua, e quanto al tempo e quanto al modo, ad una rego¬ 
larità costante, in maniera di trasformarla, per quanto è possi¬ 
bile, in un sistema di abitudini >. 


VII. 

I meccanismi psicologici 


II. - L’imitazione 


1) L'imitazione: sua importanza nell’educazione 

La tendenza dei nostri atti all’unità ed alla simultaneità non 
si manifesta soltanto negli atti successivi di un individuo, in 
quanto tendono a costituire un abito, ma anche negli atti simul¬ 
tanei di più individui, che tendono ad armonizzarsi in un unico 



39 - 


atto collettivo: questa tendenza si rileva nell’individuo come ten¬ 
denza all’ imitazione. 

L’importanza dell’imitazione è grande sopratutto nell’educa¬ 
zione infantile: ad essa il bambino deve la maggior parte delle 
sue prime acquisizioni: i movimenti, il linguaggio, l’esercizio 
delle prime attività intellettuali e morali vengono dal bambino 
quasi passivamente derivati dal suo ambiente; e l’influenza di 
queste prime impressioni sul tenero animo suo resta, anche se 
inavvertita, qualche cosa di profondo e di incancellabile per tutta 
la vita. Oli osservatori dell’infanzia hanno notato questa tendenza 
fin dai primi mesi della vita: il bambino di pochi mesi subisce 
già l’influenza delle persone circostanti e vi adatta inconscia¬ 
mente la sua abitudine ed il suo sentimento interiore. Ed anche 
quando l’imitazione si limita alle attitudini esterne, la ripetizione 
di queste concorre a destare a poco a poco nell’animo del fan¬ 
ciullo i sentimenti corrispondenti. Nessuno ignora poi quanta 
parte abbiano gli effetti dei buoni e dei cattivi esempi nell’edu¬ 
cazione morale: tutti sanno che la prima condizione di una buona 
educazione è quella di collocare il fanciullo in un ambiente mo¬ 
ralmente sano; dove l’esempio della semplicità, dell’energia 
e della rettitudine servano più che tutti gli ammaestramenti 
ad avviarlo sulla giusta via. Le parole — nota bene Locke — 
per quanto eloquenti siano, non valgono mai la minima parte 
di ciò che vale l’esempio. E se oggi l’educazione ha così scarsi 
effetti, ciò è perchè il fanciullo risente, più che l’effetto delle 
lezioni dei suoi educatori, l’influenza tacita ma continua e pro¬ 
fonda dell’ambiente: come si può sperare che egli cresca retto, 
sano e forte, se noi per i primi cooperiamo a far sì che egli 
cresca in mezzo all’ egoismo, alla mollezza ed ai costumi più 
rilassati? 

2) L'imitazione nell'autoeducazione della volontà 

Anche nell’opera più difficile dell’educazione di se stesso l’in¬ 
dividuo può utilizzare questa tendenza dello spirito con l’affidare 
ad essa la formazione di certe disposizioni e col far servire alla 
volontà propria l’energia delle abitudini tradizionali e collettive. 
Nessuno vorrà vedere in questo una rinunzia all’ indipendenza 
della volontà. Certamente noi dobbiamo guardarci dal cedere 



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passivamente all’influenza che esercitano sopra di noi gli esempi 
e i movimenti collettivi. Il segno di una grande personalità e 
d’una forte volontà è precisamente il rimaner fermi nelle proprie 
convinzioni e risoluzioni quando intorno il contagio psichico 
trascina le folle deboli e stolte : e questa energia è sempre e 
soltanto dovuta alla potenza delle riflessioni. Ma quando ci siamo, 
per mezzo di questa, tracciato volontariamente l’indirizzo in cui 
la nostra attività deve svolgersi, è per noi un aiuto ed un ri¬ 
sparmio di forza non indifferente il metterlo in presenza di atti¬ 
vità simili, la cui energia, venendo in certo modo a sommarsi con 
la nostra, la rende più regolare e sicura, come solo potrebbe 
fare una lunga abitudine. Questo appello all’influenza dell’imita¬ 
zione è solo un riconoscimento delle tradizioni reali, nelle quali 
vive e si svolge la nostra individualità; che non è qualche cosa 
di isolato e di indipendente in modo assoluto, ma trae in gran 
parte gli elementi della sua vita e del suo svolgimento dall’am¬ 
biente che la circonda. La stessa norma di vita che noi abbiamo 
imposto a tutta la nostra, non è essa stessa in gran parte attinta 
dall’ambiente e dalla tradizione culturale in cui viviamo? Noi 
non sappiamo anzi di quanto siano debitori al pensiero ed alle 
tendenze diffuse della loro età anche le volontà più energiche 
ed i grandi caratteri della storia, il cui merito è stato forse prin¬ 
cipalmente quello di raccogliere in sè, come in un centro di uni¬ 
ficazione potente, le tendenze, le aspirazioni, le volontà disperse 
di tutta una generazione. 

3) L’ esempio 

La prima e più semplice forma di ricorso alla imitazione è 
Yesempio. Esso agisce in primo luogo come esempio derivante 
dalle grandi personalità, la cui biografia è nello stesso tempo 
un ammaestramento alla riflessione ed un energico incitamento 
alla volontà ; tutti conoscono la benefica influenza che su molti 
dei nostri grandi ha esercitata la lettura delle biografie degli eroi 
dell’antichità che ci ha lasciato Plutarco. Ma l’esercizio può anche 
essere un esempio vivente: quello che ci viene dagli amici, dai 
maestri, dagli uomini migliori che la fortuna ci ha permesso di 
avvicinare e di prendere come guida nella vita. Con la scelta 
degli amici e dell’ambiente è sempre possibile all’uomo volgere 


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a proprio vantaggio l’efficacia dell’esempio: l’aiuto che viene 
alla nostra volontà dal vivo esempio di una nobile personalità, 
che incarna ai nostri occhi l’ideale della vita, deve essere con¬ 
siderato come un beneficio inestimabile. 

4) L'associazione 

Ma l’imitazione svolge la sua più grande efficacia solo per 
mezzo dell’ associazione. Gli individui che mirano ad un fine 
comune non solo sono naturalmente tratti ad associare i loro 
sforzi, ma costituiscono per mezzo di questa attività comune una 
specie di volontà collettiva, in cui l’azione singola trova dire¬ 
zione ed appoggio; essa compie in prò dell’individuo la fun¬ 
zione di ordinare e fissare la vita o quella parte della vita che 
deve servire alle finalità comuni ; e, per l’obbligo che ogni indi¬ 
viduo moralmente contrae nell’ accedere ad un’ associazione, 
esercita su di lui una coazione salutare che gli rende più facile 
la subordinazione della sua attività alla volontà comune. È cosa 
a tutti nota l’importanza dell’associazione nelle varie forme di 
vita religiosa, nelle congregazioni monastiche, nei partiti politici, 
nelle stesse società scientifiche: in tutti questi casi abbiamo da 
parte dell’individuo la libera adozione di un fine e, come mezzo 
per raggiungere questo fine, la subordinazione sua ad una vo¬ 
lontà collettiva che questo fine ha fatto proprio e che, pur esi¬ 
gendo dall’individuo il contributo delle sue forze, mette nello 
stesso tempo a servizio suo, per l’esecuzione del fine comune, 
l’esperienza e l’energia di tutte le volontà associate. 

5) Vantaggi e pericoli dell'associazione 

L’efficacia e la diffusione dell’associazione in tutti i campi 
dell’attività umana mostrano chiaramente che essa è uno degli 
strumenti più essenziali della volontà ; l’uomo solo non può spe¬ 
rare di raggiungere con la sua azione isolata i grandi fini che 
la vita gli propone. In ogni caso — e questo è per noi il punto 
rilevante — l’associazione serve a sgombrare la via alla volontà 
di molti ostacoli interiori, a farle raggiungere più rapidamente, 
come per una specie di creazione da parte della collettività, la 
subordinazione delle sue energie ai fini superiori che l’uomo si 



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è proposto. Supponiamo di considerare, per esempio, come una 
norma doverosa l’abituarsi al coraggio, alla perfeita padronanza 
di se stessi, alla fierezza, al rendersi insensibili ai pericoli ed ai 
dolori fisici che possono derivarci dai conflitti con i nostri si¬ 
mili : chi non vede che in tal caso è perfettamente ragionevole 
per uno studente tedesco l’aderire ad una delle numerose società 
studentesche che si prefiggono appunto di dirozzare sotto questo 
aspetto il nuovo arrivato e con le loro tradizioni e le loro leggi 

10 condurranno ad appropriarsi delle doti desiderate assai più 
rapidamente e facilmente di quello che potrebbe fare egli da sè 
con una lenta opera di autoeducazione? 

Questo esempio ne mette in chiaro rilievo i vantaggi: il primo 
è quello ora accennato dell’utilità dell’associazione per l’educazione 
delle volontà; il secondo è che l’associazione è sempre, soltanto 
per questo rispetto, un meccanismo subordinato che riceve il suo 
valore dalle volontà direttive. La costituzione dell’abitudine è 
una cosa eccellente ; ma vi sono anche delle abitudini cattive, 
le quali, una volta fissate in noi, diventano i nostri tiranni. Così 
l’associazione è un’eccellente scuola di educazione della volontà 
nell’adulto; ma vi sono associazioni di ogni specie, che possono 
anche diventare, per l’uomo debole, causa di servitù e di cor¬ 
ruzione. Sia l’abitudine, sia l’associazione, sono psicologicamente 
dei meccanismi che noi siamo in principio liberi di raccogliere 
o di' respingere. Ma quando li abbiamo fatti nostri sono forze 
cieche contro cui la nostra volontà qualche volta si spezza. Bi¬ 
sogna perciò riflettere prima di piegarci al loro giogo, che può 
essere lieve e salutare, o doloroso e funesto. In ogni caso bi¬ 
sogna ricordare che al di sopra di esso deve stare sempre la 
forza vigile delle riflessioni, che è il vero principio della nostra 
libertà e della nostra forza; e che noi dobbiamo servirci dell’abi¬ 
tudine e dell’associazione, non mai servire ad essa. Perciò sono 
altamente immorali quelle società che impongono all’individuo 

11 sacrificio incondizionato delle sue volontà e che lo impegnano 
a fini non conosciuti e non confessati : una società di questo 
genere è un gregge di schiavi condotti da astuti padroni, non 
un’associazione di libere volontà che nella reciproca unione cer¬ 
cano soltanto il più agevole conseguimento dei fini concorde¬ 
mente e liberamente voluti. 



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La quinta legga 

Possiamo perciò formulare la nostra quinta ed ultima legge 
nel modo che segue : 

« Per rendere più facile e più sicura la subordinazione della 
tua vita ai tuoi fini supremi, associa i tuoi sforzi a quelli di 
coloro che percorrono la stessa via, ma ricordando sempre che 
l’associazione è mezzo, non fine, e che non deve soffocare ciò 
che vi è in te di più sacro, la libera volontà della tua persona¬ 
lità morale ». 


Vili. 

CONCLUSIONE 

1) Ricapitolazione: i due momenti dell’autoeducazione della 
volontà 

Noi abbiamo così analizzato nei suoi elementi il procèsso 
dell’autoeducazione della volontà. Abbiamo riconosciuto che la 
materia (per così dire) della volontà umana è fornita ad essa 
dagli impulsi: la volontà razionale è una attività formatrice, che 
deve plasmare in unità questa materia ribelle. Essa è in un certo 
senso simile all’autorità dello Stato, che non crea nè le energie 
individuali, nè le loro attività egoistiche, che anzi non potrebbe 
sussistere senza il loro concorso; ma è come diritto, una specie 
di volontà collettiva superiore che le costringe ad un’armonica 
cooperazione. Perciò abbiamo posto come prima esigenza di 
questa autoeducazione la cura della vita organica che è la sor¬ 
gente delle energie impulsive. Quindi abbiamo riconosciuto che 
la radice della volontà razionale è nel pensiero razionale, come 
la radice dell’impulso è nella rappresentazione sensibile, la quale 
non è mai soltanto una fredda immagine, ma anche uno stato 
spiacevole e doloroso, un amore od un odio. Soltanto, laddove 
gli impulsi hanno delle rappresentazioni sensibili il carattere sog- 



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gettivo e variabile, le volontà razionali hanno del pensiero il 
carattere universale e costante: i sentimenti che accompagnano 
le idee sono, a differenza degli impulsi, tendenze uguali e sta¬ 
bili, che hanno appunto in questa stabilità la loro forza e che, 
orientando nel loro indirizzo le tendenze impulsive, conferiscono 
a tutta la nostra attività quel carattere di coerenza che distingue 
la volontà razionale. Perciò abbiamo cercato nella riflessione e 
nella meditazione il mezzo di promuovere in noi l’energia della 
volontà e di accrescerne la potenza. Quindi abbiamo mostrato 
nell’abitudine e nell’associazione i due meccanismi psicologici 
che coadiuvano la riflessione e ne rendono possibile uno svol¬ 
gimento progressivo, in quanto meccanizzano o fissano rapida¬ 
mente le attività subordinate in quel senso che esige l’indirizzo 
della volontà razionale. La riflessione rende possibile l’autoedu¬ 
cazione della volontà, per ciò che riflette i meccanismi psichici 
subordinati, che debbono docilmente servire alle volontà superiori. 

2) I due gradi corrispondenti nell'educazione collettiva 

Se questa breve trattazione non dovesse limitarsi rigorosa¬ 
mente all’educazione di se stesso, non sarebbe difficile mostrare 
in queste due parti, con un parallelo che ci invia all’assimila¬ 
zione platonica dello stato e dell’individuo, i due gradi necessari 
dell’educazione. Anche nello stato vi sono funzioni ed elementi 
subordinati: l’educazione di una parte della collettività deve 
fare appello di preferenza al sentimento, all’abitudine, alla sug¬ 
gestione dell’associazione e dell’esempio. Nè altra può essere 
da principio l’educazione del bambino in generale, che non è 
capace di essere elevato alla moralità se non per via di autorità, 
perchè l’intelligenza sua non è ancora atta ad elevarsi alla com¬ 
prensione di questi rapporti sopra i quali si fonda il giudizio 
della coscienza morale: « Non vi è in fondo veramente morale 
infantile — scrive un educatore —; la morale dei bambini non è 
che la morale degli adulti praticata da essi nella misura delle 
loro forze, per simpatia, per interesse, per obbedienza, mai, io 
penso, per il sentimento del puro dovere, di cui li credo asso¬ 
lutamente incapaci » (!). Credere di potere educare il bambino 


(1) Martin — Educ. du caractère , 2, 1888, p. 70. 



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ed il popolo per la via lunga e difficile della cultura dell’intel¬ 
ligenza, è stoltezza; nè questo nè quello sono capaci di vera 
cultura e tutto ciò che loro si impartisce sotto questo nome resta 
un sapere superficiale e frammentario, senza efficacia morale. 
L’educazione per mezzo della cultura non può mai essere invece 
che il patrimonio di pochi, dell’aristocrazia spirituale; ma anche 
in questo caso il solo sapere che serve all’ educazione della 
personalità è il sapere coordinato, filosofico (nel più largo senso 
della parola), quello che conduce alla riflessione ed alla medita¬ 
zione sopra i grandi problemi della realtà e della vita umana. 

3) L’arte di lavorare 

Questo breve manuale di autoeducazione della volontà do¬ 
vrebbe avere il suo complemento in un altro manuale che espo¬ 
nesse l’arte di utilizzare nel modo migliore questa energia, in 
un manuale del lavoro, specialmente del lavoro intellettuale, dove 
ogni individuo deve purtroppo in generale fare da sè la propria 
esperienza ed arriva per lo più a possedere l’arte quando il tempo 
di applicarla è quasi passato. Ma i due compiti dovevano rima¬ 
nere distinti : altro infatti è cercare di creare in sè una volontà 
energica e perseverante, altro indicare a questa i piccoli mezzi 
tecnici per cui essa vuol raggiungere i suoi fini col minimo 
sforzo. La maggior parte dei processi che i manuali correnti con¬ 
sigliano come mezzi di fortificare la volontà appartengono a 
questa seconda categoria : essi presuppongono già quello che 
si cerca. Tutti coloro che hanno fatto la propria attività oggetto 
di osservazione e di meditazione sanno quali sono i metodi mi¬ 
gliori di leggere e di conservare il frutto delle letture fatte, come 
bisogna suddividere il proprio tempo e il proprio lavoro, quali 
sono i metodi migliori di lavorare con frutto. Ma a che cosa 
servono tutte queste conoscenze senza la volontà perseverante? 

4) Volontà e moralità 

Perciò appunto tutti questi artifizii, il cui valore è stato così 
puerilmente esagerato nei manuali comuni di educazione della 
volontà, sono stati in questa trattazione lasciati deliberatamente 



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da parte : e tutto il nerbo della ricerca è stato diretto a ricon¬ 
durre la volontà alla sua sorgente più remota e più alta, che è 
la sorgente stessa della personalità e della vita: al pensiero crea¬ 
tore. E da questo suo indirizzo filosofico la nostra ricerca riceve 
anche un carattere più profondamente morale: il quale ci libera 
dal disonorante sospetto di aver voluto plaudire con questa inda¬ 
gine all’idolo del giorno: la conquista della forza per la forza. 
La potenza del volere ha l’origine sua, come si è veduto, nel¬ 
l’unità della ragione: perciò lo sforzo verso la massima energia 
del volere è anche uno sforzo verso quella unità razionale che 
caratterizza la volontà come volontà buona. Anche l’uomo co¬ 
mune, dinanzi alle grandi volontà ed ai grandi caratteri, istinti¬ 
vamente si piega, perchè sente di essere di fronte a qualche 
cosa che ha valore per sè, indipendentemente da ogni risultato. 
La volontà, da principio, desidera il dominio in vista dei fini 
materiali; ma quando la riflessione la eleva alla considerazione 
dei valori universali, essa riconosce che nessun fine esteriore 
si adegua all’aspirazione sua, e si sforza di raccogliersi in un 
volere supremo nel quale tutte le volontà individuali possono 
convenire : e che appunto perciò è la volontà obbiettivamente 
valida, la volontà buona. 





Tip. O. B1ANCARD1 - LODI (Milano) - 1943 XXI